martedì 19 giugno 2012

La chiave d'accesso: CAPITOLO 5 "L'amore"


Venerdì 10 febbraio : L'amore

C'è in ogni uomo una tendenza a voler superare i propri limiti, a voler esagerare. Altrimenti è difficile spiegarsi come l'essere umano cerchi, costantemente, di andare nella direzione sbagliata. Una volta trovato un equilibrio decente, lo supera e lo stravolge. Di nuovo e per sempre. Questa tendenza che qualcuno ha chiamato Thanatos, istinto di morte, e che altri chiamano estro o determinazione, è ciò che ci rende umani. E' propobabilmente ciò che ci ha permesso di evolverci in maniera così strana rispetto ai nostri fratelli animali. In contrasto con questo esiste una forza benevola, indiscutubile, che ci strattona su quella che, impropriamente, chiamiamo "retta via". Tutti ci siamo resi conto, almeno una volta nella vita, che esiste, o che deve esistere, un fattore positivo soprannaturale che guida un uomo nel fare le cose nel modo giusto. E' ciò che fa la differenza. E' l'amore. L'amore nel senso più ampio e più preciso allo stesso tempo, l'amore nel senso di gesto d'amore, segno d'amore. Si può facilmente ricondurre, a mio avviso, ogni violenza o tragedia della storia dell'uomo ad una mancanza, ad un'assenza, di questo segno. Comportamenti violenti, di tipo psicologico o fisico, sono sempre conseguenza di un dolore oltre che causa. La violenza non può che nascere da altra violenza, e questa non è altro che una mancanza d'amore. Figli violenti sono conseguenza di genitori distratti, incapaci, non pronti, non amanti. E questi, a loro volta, sono tali in quanto figli di genitori altrettanto inadeguati. Figlio dopo figlio il mondo si è riempito di genitori e di eredi inadeguati che hanno creato tra loro relazioni, un'altra volta, inadeguate. Queste relazioni hanno portato alla formazione di comunità attraverso legami complessi conseguenza di quella che è quindi un' esponenziale assenza d'affetto. Il peccato originale, direbbe qualcuno. La colonna portante dell'umanità, crepata e traballante. Il lato più affascinante di tutto ciò è che l'amore non è una prerogativa del passato, non è un anziano signore in punto di morte, non è legato al tempo remoto ma al presente. La sua capacità è quella di rigenerarsi continuamente se maneggiato a dovere. Non morirà mai finchè non morirà l'ultimo uomo. Finchè ci sarà qualcuno che, stucco alla mano, ristrutturerà quella traballante colonna portante, ci sarà speranza e in qualche modo ci sarà bene, ci sarà vita. La sua forza sta, come per alcune arti marziali, nell'avversario. Un uomo che sa cosa vuol dire l'amore non risponde alla violenza con altra violenza, l'assorbe,l'asseconda e risponde con un sorriso. In questo modo da una disputa la forza negativa, il male, scompare, assorbito, lasciando spazio all'amore che può persino espandersi in un contagio plastico.
Mi era sembrato questo l'insegnamento più importante di quel mio seminario improvvisato tenuto da un folle dai lineamenti incerti, anche se d'amore non s'era mai parlato. Percepivo quel ragazzo nel parco come il mio riflesso in uno specchio che non c'era, l'ombra di una verità irraggiungibile.
Alle 7 di mattina ero già in piedi, vestito e lavato, pronto per la lezione. Una volta sentii uno psicanalista dire che la felicità si può comprendere quando ci si alza la mattina chiedendo "ancora". Ancora un po' di tutto questo, per favore. "Ancora", sussurrai. "Ancora di più", pensai. L'ambizione è nemica del successo solo quando il successo lo decreta qualcuno che abita al di fuori di noi stessi. Altrimenti è la sua migliore amica e può non avere limiti. Può avanzare in un rapporto asintotico con la felicità, soddisfacente in quanto concreto e allo stesso tempo slegato dal mito del "dover arrivare". D'altronde non è forse vero che un viaggio diventa memorabile solo quando è stato memorabile il tragitto, il cammino?

Così pensavo trotterellando verso il parco. Guardando il cielo azzurro e facendo passare antipasti di aria fredda su per le narici congelate. Il mio giovane amico, quella mattina, non era da solo. I suoi occhi non erano persi nel mondo come le altre mattine, erano paralizzati in un obiettivo. Un obiettivo di carne vive. La biologia dell'interazione tra sguardi formava una dimensione distaccata alla quale gli altri mortali non potevano accedere. Erano due oggetti fusi in un unico terzo, che osservava la realtà. Si accarezzavano, anche. Si sfioravano in un gioco di fusa senza compromessi e recite. Veri innamorati.
Sulla panchina accanto a lui se ne stava accovacciato infatti un fantastico esemplare canino. Appartenente a nessuna razza, ne religione. Un cane. Il pelo biondo sfilacciato dal tempo e dall'esperienza. Le croste di fango sui ciuffi più lunghi, gli occhi grigi di un anziano signore. Era una femmina, mi accorsi. Teneva la testa appoggiata sulle gambe del mio maestro schiacciandovi delicatamente la gola calda e leggermente sbavata. Gli occhi socchiusi parlavano di un sogno di complicità infinita.
Mi avvicinai per parlare, chiesi:

"Non ti avevo mai visto in compagnia, chi è questa bella creatura?"

Si girarono entrambi come in un tuffo sincronizzato. Si scambiarono uno sguardo sorridente, poi lui parlò:

"Lei è Libera. Mia compagna di vita da molti anni ormai. E' la mia parte mancante, la mia complice instancabile. Puoi accarezzarla, se ti va, ne sarà felice."

Avvicinai timidamente la mano come per paura di essere morso. Sentii i suoi baffi di plastica strofinarsi leggermente sulla pelle. Accompagnò il mio gesto muovendo la testa come in un guaito silenzioso. Fece uno sbadiglio di conferma.

"Non l'avevo mai vista – dissi – da queste parti, dov'è stata tutta la settimana?"

Mi guardò curioso.

"Non lo so dov'era – rispose – non la vedevo da più di un mese, in realtà. Non lo so dove fosse e non m'interessa, nei suoi occhi vedo la felicità e questo mi basta, basta! - esplose quasi silenziosamente in un raptus- si chiama Libera, perchè è libera. Ci vuole tanto? Alla fine torna sempre qui quo qua ma può succedere che sia io a partire per andarla a trovare, perchè ho bisogno di lei. Oppure lei torna, perchè ha bisogno di me. Ma non so dove vada, dada. Non ci rincontriamo perchè dobbiamo ma perchè altrimenti non ce la facciamo a ritrovare noi stessi. Nessuno obbligo, di nessun tipo capisci? E' tutto vero"

Pensai per un attimo di aver sopravvalutato la sua sanità mentale. Mi stava parlando di un fidanzamento con un cane, tutto sommato. Confuso decisi di chiedere, avendo ormai imparato che solo chiedendo potevo risolvere i miei dubbi:

"Scusa..mi stai dicendo che tu e questa bellissima cagna siete fidanzati?"

Sorrise guardando la sua consorte. Lei rispose con un leggero bofonchiare come a dire "che palle".

"Ti posso dire di sì che siamo fidanzati così penserai che sono pazzo, ti posso dire che lei è la mia migliore amica così penserai che questa è semplicemente una bella scena. Non lo so cosa siamo e posso dire con sicurezza che non ce ne frega un cazzo. Siamo, a differenza di molti, e basta. Non ci sono compromessi, io sono uomo, lei un cane. Nessuno tenta di convincere l'altro che il suo è il modo di vivere migliore. Ci rispettiamo e abbiamo imparato a farlo conoscendoci. Ho provato a cagare come lei una volta ma lei mi ha guardato strano, mi ha detto che cazzo fai caga come ti viene meglio. E così faccio, e stiamo bene. Poi chiamaci fidanzati, amici o rastrelli a me questo non interessa, e a lei nemmeno. Te lo posso assicurare. Vero Libera?"

L'animale rispose di sì. E si alzò per andare da qualche parte, forse proprio a cagare. Lui la guardò ancheggiare stanca e sorrise. Disse "Fa sempre così". Poi si rivolse a me e mi chiese:

"Tu hai mai provato l'amore?"

Rimasi qualche minuto a pensare. Le sue domande non esigevano una risposta, non creavano aspettativa, quindi mi presi il tempo che serviva per fare un giro nei miei ricordi. Sentii una morsa arrugginita aggrapparsi allo stomaco, dissi:

"Molto tempo fa..."

"Dovresti riprovare – incalzò lui – altrimenti che ci stai a fare qui?"

Mi alzai e me ne andai senza salutare. Non che qualcuno avesse richiesto il mio saluto, d'altronde. Con la triestezza nell'anima e negl'occhi decisi di passeggiare un po'. Quand'è che avevo rinunciato all'amore? Non me lo ricordavo e da un certo punto di vista mi sembrava di non averlo mai fatto. Mi sembrò che per anni avessi semplicemente amato per conto di altri. Altri avevano amato me, e io con loro avevo semplicemente amato il loro amare me. Sentii come la sensazione di ritornare nel mio corpo. Pensai ad altro mentre tentavo di restare sull'argomento. Infine decisi di non forzarmi e guardai i fiori. Poco più in là passava una ragazza troppo giovane per me, aveva un giubbotto verde militare e le idee confuse. Le sorrisi.
Lei fece finta di rispondere al telefono. Sorrisi di nuovo, questa volta per me.

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