sabato 16 giugno 2012

La chiave d'accesso: CAPITOLO 2 "La natura"


Martedì 7 febbraio: La Natura

Mi svegliai in un bagno di sudore e lucidità. I soliti cinque minuti in cui giornalmente il preconscio ricostruisce le mura della società, mi erano sembrati anni. Il seminario era stato, come da pronostico, una rottura di palle. Una scialuppa di professoroni avevano remato orizzontali in direzione contraria dei seminaristi, dall'alto delle loro incomprensibili definizioni frutto di anni di ricerca, si stagliavano inarrivabili sullo sfondo del power point. Attorno a me sedevano altre due o tre dozzine di meritevoli e altri due o tre quintali di meriti scolastici impacchettati in valutazioni semplici e senza cuore. Dire un valore per dare un valore. Non capivo. Parlare dell'altro stando seduti dall'altro lato dell'altro. Non capivo proprio. Mi ricordo che per tutta la durata della lezione avevo la voglia di alzarmi per andare a tirare giù quei vecchiacci da quel palchetto, tirare i loro vestiti eleganti fino a strapparli, far sentire loro il freddo del pavimento sulla pelle nuda e glabra di vecchiaia. Il pensiero di ritornarci oggi mi infastidiva. Decisi che, comunque, questa cosa andava fatta e avvolto di fierezza pensai al mio rispetto per le regole, all'importanza delle regole e all'evoluzione dell'uomo. Bevvi un caffè.

Quando scesi in strada mi ritornò forte in mente il ricordo del ragazzo nel parco. Provai la strana sensazione che si ha nel dare ad un ricordo allo stesso tempo poca e molta importanza, come se due persone all'interno della mia persona stessero litigando sul valore di quell'esperienza. Grande esperienza, ma quale esperienza. Nell'alternanza di interessi decisi comunque di passare nuovamente di là, come il giorno prima mi ero ripromesso.

Arrivato nel punto dove l'avevo intravisto, mentre mi distraevo cercando di camminare tenendo i piedi su un'ipotetica linea retta che mi conduceva, sentì un suono stranissimo. Difficile da spiegare. Era qualcosa che assomigliava ad un ponte che partiva da Madre Natura per arrivare all'uomo, l'anello mancante tra Dio e il Cristo in forma di canto, di grida dolci e strazianti. Mi ricordo che pensai che quello doveva essere il suono della voce che l'uomo avrebbe avuto se non si fosse inventato il linguaggio, il suono che un ipotetico superuomo avrebbe dovuto imitare nei suoi richiami per uomini, per ingannarci in trappole di caccia sportiva. Era il ragazzo del giorno prima, disteso su un prato, vestito nella semplicità di un lenzuolo bianco, un po' asceta o un po' vestito di carnevale, comunque fantasma. Faceva :

“aaaaaaaaaaaaaeeeeeeeeeooooooouuuuwww...wuuuuoooooooaaaaaaaaaaaa”

Dimentico degl'insegnamenti di Pirandello, decisi che non avevo tempo per certe stronzate. Feci per allontanarmi mentre pensavo, di nuovo, all'ingiustizia che quel poveretto subiva dalla stessa natura che sembrava cantare in quello strazio di corde vocali .All'improvviso però mi ricordai alcune parole che gli avevo sentito dire il giorno prima : “orecchiette in cima di rap”. Pensai e ripensai. Perchè quelle parole avevano lasciato una traccia, un ultimo colpo di picconte sull'orlo del mio oblio?Perchè? Mi fermai. In testa ripassavo, sorprendendomi allo stesso tempo dell'efficacia di quelle parole, la cantilenia del giorno prima, il susseguirsi di parole inutili e casuali che avevo prima sentito e poi richiesto in risposta alle mie domande. Mi sembrava di essere vicino alla soluzione di un enigma, l'insight, la ricomposizione degl'elementi del campo, la somma delle parti diversa dal tutto. Ebbi un flash : “orecchiette in cima di rap”, l'aveva detto due volte!Mentre blaterava e rispondendo ad una delle mie domande. Una regolarità, pensai. Se c'è una regolarità può essere che questa faccia parte di una rete di simboli, parole per altre parole, sostituzioni, sublimazioni, la traduzione in un'altra lingua. La sua. Mi voltai e vedendolo, sentii il cuore bussarmi sulla trachea. Mi guardava.Mi guardava e il suo sguardo era di speranza, come se in quel battito d'ali in cui le traiettorie dei nostri occhi si erano incontrate mi stesse dicendo che io avevo le chiavi per aprire la diga della sua conoscenza. Speranza, pura e semplice speranza. Per un secondo, forse meno. Si voltò e ritornò al suo blaterare disinteressato, noncurante della mia figura che, paralizzata nel centro del parco, faceva ombra sul suo cantare una musica senza musica. L'eco dell'uomo in gabbia. La gabbia dell'ignoranza, pensai. Non so perchè.
Decisi di andare ancora una volta ad ascoltarlo. Parlava con tono sognante, come se stesse recitando poesie all'amore della sua vita, diceva:

“siamo nati nella natura siamo noti e notti nitidi nidi di colori e colori con l'oro e l'argento getto occhi su piccole libertà libere nel loro gracchiare lo sconcerto di un concerto live vive nel vivido estasi in stati d'ammirazione in quel suono che viene da Dio domando e rimando al mandante quesiti questioni questi ioni in celle di atomi atomici verde, verde! Giallo?? giallo arancione rosso viola azzurro blu nero bianco tutto da tatto e resta come un tatoo....tu!!! cosa temo?? tempo di tampax assorbiamo o sorbiamo il flusso di violenza noi contro tutto!! tutto!!! sono tossico del sonno di queste tossine allegro mi godo allergia dell'universo in un unico verso - fece un gesto come per recitare – ho perso il controllo, e dopo tutto non avrò che pioggia, che cade con me"

Rimasi di stucco. Quelle ultime parole a compimento dell'ennesima follia toglievano ogni dubbio: nessuna connessione era saltata in un quell' ammasso di sostanza grigia e bianca, s'erano solo spostate su un altro piano cognitivo. La loro presenza, stabile e quadrata, era palpabile in quelle parole. La logica della realtà umana all'interno dell'universo che prende forma grazie alla sua più particolare peculiarità: un messaggio. Mi stava insegnando qualcosa, e lo faceva dalla mia stessa altezza, entrambi con i piedi su un'ipotetica panchina, lontanto da qualsiasi cazzo di palchetto e senza bisogni di slides per tenere il filo. Mi guardai attorno. Il colore del mondo mi sembrava più vivo, allucinazione sana di sensazioni amplificate .L'ossigeno unico elemento psicoattivo e il petto in fiamme. Il numero di percezioni che riuscivo ad elaborare mi stupiva. Sentivo scomparire le cosidette "questioni esistenziali" sulla scia di uno sfondo rivoluzionato, dono ultimo di qualche Dio onnipotente che volevo ringraziare. Lo feci. Dissi a bassa voce "Grazie" con il mento appoggiato sul petto in un gesto di vergogna che veniva dal terzo millennio. Ero uomo - animale, tessera di un mosaico più ampio di quanto mi fosse permesso immaginare, figlio di una madre benevola e giusta, coerente e spietata. Questa volta Pirandello mi tornò in mente senza bisogno di sfogliare la sua opera :


"nella sua santità, difatti, ella riteneva che quei fiori di campo non nascono per gli uomini, ma sono come il riso della terra che esprime gratitudine al sole per il calore ch'esso le dà."

"Incredibilmente calzante", pensai. Distratto lanciai lontano gli auricolari del mio lettore mp3 mentre riprendevo il passo. Feci il gesto, utile quanto l'alba a compimento di una notte d'amore, di mettere delle cuffiette inesistenti e scaricai dall'internet della vita la melodia della natura. Sorrisi.

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