sabato 29 dicembre 2012

DM (digitalmermory)



Ho una memoria digitale.
Digitare 1 per ricordi d'amore e così via.
Ho il pensiero virtuale in scrittura java.
Gli sms hanno preso il posto della poesia.
So scrivere sms coinvolgenti.
Sono un poeta coinvolgente.
Ragionamento da quattro soldi,
i nostri nonni erano più solidi.
Oggi ho mangiato un terabyte e non mi ha saziato.
Straziato come quando perdi qualcosa, ma il dolore si lava, si scrosta col tempo.
Un buon esempio è quando credi di non farcela più. Quando credi che le pareti ti crollino addosso e le macerie ti soffochino fino a morire asfissiato. Tutto o niente ha più senso e vorresti giacere (to lie down) al suolo inerme. Vorresti sentire il tuo corpo fondersi con il pavimento e sparire nella crosta terrestre. 
O come quando ti senti talmente arrabbiato che vorresti spaccare tutto. Gettare via il dolore dal corpo come si fa con le immondizie. Prendere un martello e fracassare tutto. Sentire il rumore degli oggetti che si frantumano davanti agli occhi spaventati della gente. Divellere ogni parte del tuo corpo e gettarla il più lontano possibile, bruciare i vestiti e strapparti i capelli.
Altre volte invece
mountain meets sea
and anything you touch
or watch
is free.
When you see
that beauty 
is so hard that mows down your knees
and the breeze
makes you happy.
E intanto il tempo, lento
Porta con sé il dolore, che scivola sulla pelle nuda,
sempre pronto a tornare.



martedì 25 dicembre 2012

venerdì 21 dicembre 2012

Istantanea





Rinnego tutto
E non rimpiango niente,
E subito mi sovviene alla mente ciò che è stato e
Ciò che non (lo è stato).

E così sovente, le cose mi appaiono grigie, prive di senso.
Un colore amaro intenso.


sabato 15 dicembre 2012

Non so se sento
o se è l'ennesimo travestimento.


Non so se sento
o se è l'ennesimo travestimento.


Non so se sento
o se è l'ennesimo travestimento.


Non so se sento
o se è l'ennesimo travestimento.


Istanbul 2012






Arrivati ad Istanbul in un pomeriggio umido e afoso, siamo stati invasi da una gran quantità di rumori, odori, e colori. Il mio primo pensiero è stato: "Io qua non ci resisto nemmeno un paio d'ore" tanto il caos della città mi aveva sopraffatto. Dopo un paio d'ore, non sarei mai voluto tornare a casa. Questo è il resoconto per immagini (e suoni e colori) del nostro viaggio. Enjoy



lunedì 10 dicembre 2012

venerdì 7 dicembre 2012

When I have fears




La difficoltà di riuscire ad esprimere i propri pensieri. L'inevitabile scorrere del tempo.
La fragilità e la precarietà della bellezza e dei momenti sereni.
La contemplazione del mondo immenso, till love and fame to nothigness do sink.

giovedì 6 dicembre 2012

Il sergente nella neve





E' pensiero comune e condiviso che esista la professione dello scrittore. Questa tesi è per certi versi sicuramente vera, per altri, totalmente falsa. Mi spiego. C'è e c'è stata senza dubbio una schiera di buoni, a volte ottimi, scrittori che si sono guadagnati da vivere grazie alla loro abilità fuori dal comune, che hanno saputo sfruttare anche in chiave economica. E per carità, in questo non c'è nulla di male. Più di una volta però, mi è capitato di leggere alcuni testi di grande livello emotivo prodotti non da personaggi di questo tipo, ma da qualcuno proveniente da altri campi del sapere, o della vita lavorativa, che per motivi di varia natura è pervenuto alla scrittura. 
Uno di questi autori è Mario Rigoni Stern. Leggendo il suo capolavoro, Il sergente nella neve (1953), ci si accorge subito che a scrivere non è un intellettuale di alto rango, ma un uomo qualunque che tenta attraverso la pagina scritta di trasporre le sue emozioni, le sue visioni della vita. A scuola, in un istituto superiore il programma canonico prevede che si debbano studiare autori, date, accadimenti che probabilmente nessuno poi ricorderà più, senza soffermarsi troppo sulla proposta di letture che possono segnare nel profondo. Io non ricordo quando lessi per la prima volta questo romanzo, né se all'epoca sapessi cosa fosse la ritirata dalla Russia o cosa fosse un'isba, ma ricordo, questo sì, il seguente passo che, per fortuna, non necessita nessun tipo di commento: 


"Corro e busso alla porta di un'isba. Entro. Vi sono dei soldati russi, là. Dei prigionieri? No. Sono armati. Con la stella rossa sul berretto! Io ho in mano il fucile. Li guardo impietrito. Essi stanno mangiando attorno alla tavola. Prendono il cibo con il cucchiaio di legno da una zuppiera comune. E mi guardano con i cucchiai sospesi a mezz'aria. - Mnié khocetsia iestj, - dico. Vi sono anche delle donne. Una prende un piatto, lo riempie di latte e miglio, con un mestolo, dalla zuppiera di tutti, e me lo porge. Io faccio un passo avanti, mi metto il fucile in spalla e mangio. Il tempo non esiste più. I soldati russi mi guardano. Le donne mi guardano. I bambini mi guardano. Nessuno fiata. C'è solo il rumore del mio cucchiaio nel piatto. E d'ogni mia boccata. - Spaziba, - dico quando ho finito. E la donna prende dalle mie mani il piatto vuoto. - Pasausta, - mi risponde con semplicità. I soldati russi mi guardano uscire senza che si siano mossi. Nel vano dell'ingresso vi sono delle arnie. La donna che mi ha dato la minestra, è venuta con me come per aprirmi la porta e io le chiedo a gesti di darmi un favo di miele per i miei compagni. La donna mi dà il favo e io esco.
Così è successo questo fatto. Ora non lo trovo affatto strano, a pensarvi, ma naturale di quella naturalezza che una volta dev'esservi stata tra gli uomini. Dopo la prima sorpresa tutti i miei gesti furono naturali, non sentivo nessun timore, né alcun desiderio di difendermi o di offendere. Era una cosa molto semplice. Anche i russi erano come me, lo sentivo. In quell'isba si era creata tra me e i soldati russi, e le donne e i bambini un'armonia che non era un armistizio. Era qualcosa di più del rispetto che gli animali della foresta hanno l'uno per l'altro. Una volta tanto le circostanze avevano portato degli uomini a saper restare uomini. Chissà dove saranno ora quei soldati, quelle donne, quei bambini. Io spero che la guerra li abbia risparmiati tutti. Finché saremo vivi ci ricorderemo, tutti quanti eravamo, come ci siamo comportati. I bambini specialmente. Se questo è successo una volta potrà tornare a succedere. Potrà succedere, voglio dire, a innumerevoli altri uomini e diventare un costume, un modo di vivere"

Mercoledì 05 dicembre, Monfalcone.

venerdì 16 novembre 2012

Manhattan


Lo so, sono scontato, e per questo chiedo venia, d'altronde Manhattan è una pellicola che non ha bisogno di nessuna presentazione, così come il suo autore. In ogni caso ho deciso di proporre questa scena, geniale e finemente poetica, per un semplice motivo: Woody Allen sembra parlarci di qualcosa in generale, ma in realtà parla di sé stesso, e parlando di sé stesso in realtà parla di tutti noi. La premessa riguarda le cose (secondo lui) per le quali vale la pena di vivere, e la seguente scaletta (apparentemente) alla rinfusa porta sullo schermo le sue passioni, i suoi gusti musicali, le sue letture, e culmina con "il viso di Tracy" (l'amore). Probabilmente se chiedessi a chiunque di redigere una scaletta simile, essa si presenterebbe più o meno così. E la genialità di Woody Allen sta nel riproporre questa scena esattamente così come potrebbe accadere nella realtà.

domenica 28 ottobre 2012

The Catcher in the Rye


"The Catcher in the Rye", scritto da J.D. Salinger nel 1951, è a noi noto con il titolo "Il giovane Holden", vista l'obiettiva difficoltà di tradurre in italiano il titolo originale (che suonerebbe più o meno il "prenditore nella segale", con tutti discorsi che potrebbero farsi sulla parola catcher, un ruolo del baseball, e rye, una varietà di alcolico statunitense, il whisky-rye). 
Il libro è tradizionalmente catalogato come "romanzo di formazione" o "libro per adolescenti", in quanto mette effettivamente in scena i pensieri, le vicende e le difficoltà di un ragazzo di sedici anni, inserito nel contesto della New York fine anni '40. A mio parere però, così facendo si rischia di smorzare e diminuire la forza di questo romanzo. Esso ha sì per protagonista un quasi-bambino, ma è stato scritto da un uomo. Salinger infatti si traveste da ragazzino per esprimere le sue considerazioni su un mondo che non gli piace, su una società ipocrita e colma di valori vuoti, sterili. Il mezzo di cui si avvale è un linguaggio forte e secco, colmo di modi di dire ed espressioni giovanili, che scandalizzò non poche persone dell'epoca. Il giovane Holden Caulfield finge di essere ignorante ma legge moltissimo, finge di odiare il cinema ma conosce e apprezza una valanga di film, finge infine di odiare le persone ma in realtà ne è attratto. Sviluppa ed espone pensieri sulla vita e sulla società che non sono solo frutto di una crisi adolescenziale. Infatti non mi riesce proprio di credere che Salinger abbia semplicemente voluto parlare di disagio giovanile, io credo abbia trovato l'unico modo per dire ciò che pensava del mondo che lo circondava, senza dover tirar fuori spiegazioni o dovere scuse a qualcuno. Il suo è un pensiero anticonformista e antiretorico al cento per cento e, per dirla con Holden, mi ha letteralmente lasciato secco.


mercoledì 24 ottobre 2012

Documento1.txt


Non getterò le mie parole nel fuoco,
le terrò per me, al caldo.
Come una madre disperata e piena d'amore,
trattiene a sè il suo grembo
per non esporlo al destino maledetto
della società civile.

Non insegnerò mai nulla,
 perchè nulla so
nè mai sarò ingombrante,
 perchè nulla sarò.

sabato 20 ottobre 2012

Gli sbirri


Speriamo arrivino gli sbirri, 
così sappiamo di cosa parlare
Anzi speriamo di no,
 che poi ci tocca parlare. 

martedì 2 ottobre 2012



"Adhuc neminem cognovi poetam, qui sibi non optimus videretur" M. T. Cicerone

Finora non ho conosciuto nessun poeta, che non credesse di essere il migliore.



domenica 30 settembre 2012

Music is mobile (by Pablo Apiolazza)



L'ispirazione non aspetta nessuno. E ti può arrivare ovunque. Adesso è possibile condividere idee e costruire qualcosa di nuovo insieme. Music is mobile. Web is mobile.

Video vincitore del premio della critica per il concorso indetto da TIM, WEB IS MOBILE.
Music by ambroprod
Attori: Matteo Mascarin, Federica Raffin, Augusto Forcessini, David Cusimano



mercoledì 5 settembre 2012

La Culpa




Ieri sera (4 settembre 2012), alla 69esima Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia, si è tenuta la premiazione del Your Film Festival, un premio promosso dalla Scott Free Productions, Emirates e la Biennale stessa. Tra tutti i partecipanti, soltanto dieci (scelti dalle votazioni della gente comune racimolate su Youtube) hanno avuto la possibilità di vedere i loro cortometraggi proiettati alla Mostra, e giudicati da una commissione d'eccezione. Il vincitore, annunciato da Michael Fassbender, è risultato essere David Victori, con "La Culpa", un corto che sviluppa appunto il tema della spirale in cui si viene trasportati dalla colpa, e dalla violenza. La resa stilistica è eccellente e la suspense che si addice ad ogni buon cortometraggio è mozzafiato. Geniale!

lunedì 3 settembre 2012

Avendoti accanto


vorrei sentirmi sempre solo
avendoti accanto
nelle corsie degli ospedali e all'autostazione.
giustificare il tuo ritardo
ai pranzi di famiglia.
Non avere soldi
per mandarti la buonanotte. 

lunedì 20 agosto 2012

Invisibili


Noi siamo gli invisibili,
invisibili come le nuvole, di una consistenza solo apparente.
Portiamo in petto parole troppo pesanti per essere pronunciate,
affittiamo personalità opache del passato,
allestendo ai posteri uno scenario penoso.

Siamo gli invisibili e,
fotogramma dopo fotogramma
vediamo la nostra vita scorrere come un film senza trama,
la contempliamo, assorti, come fosse un panorama.

domenica 12 agosto 2012

La mosca e il ragno


ZZZ..ZZZ …ZZZ. La mosca sbatte contro il vetro. Incessantemente, sbatte, si stordisce, sbatte ancora. E ancora. Al di là del vetro, il sole, l’aria fresca. Stupido vetro! Ad ogni carica assapora l’odore dell’erba e la libertà dell’aria, poi frange ancora contro la lastra trasparente.
In alto, nell’angolo, il ragno paziente tesse la sua ragnatela , lentamente. La mosca, tentando di superare l’ostacolo trasparente cade inesorabilmente in trappola. Si dimena, scuote le ali con forza. La mosca è testarda e non smette di dimenarsi. Il ragno, immobile, si gusta lo spettacolo e attende. Si avvicina ridente ad essa, lascia che si stanchi, che si sfinisca. Poi la ricopre con la ragnatela, e se la divora.

Guardando questo spettacolo mi venne un paragone, una metafora azzeccata in mente, poi mi resi conto che avevo fame, e non ci pensai più.

πάντα ῥεῖ ὡς ποταμός


trad. "Tutto scorre come un fiume"
11 Agosto 2012, Trieste.

venerdì 10 agosto 2012

Il segreto dei suoi occhi



Di Juan José Campanella, il film è uscito nel 2010 e ha vinto il premio Oscar nello stesso anno come miglior film straniero. La pellicola è parecchio lunga (129min.) e per questo motivo a tratti può risultare noiosa o poco dinamica; la trama è avvincente e nasconde il classico colpo di scena come ogni buon poliziesco richiede. Senza dubbio il punto forte di questo film è come la narrazione viene sviluppata dalla telecamera. Quasi ogni inquadratura è estremamente originale e di altissimo livello, restituendoci il preciso stato d'animo dei personaggi ripresi, sul quale volta per volta il regista ha voluto mettere l'accento. Bellissime e divertenti tutte le scene ambientate nel bar in cui l'amico del protagonista si rifugia a bere, offrendoci un buon spaccato dell'Argentina fine anni '70. La scena di gran lunga più bella è quella che qui propongo, con la finale veduta aerea del campo di calcio e la telecamera che si letteralmente getta sugli spalti per trovare i due protagonisti sommersi dalla folla esultante. Capolavoro!

Convivio



28 Luglio 2012, Dobbia.

giovedì 9 agosto 2012

Un altro mare





"Qual è il tuo libro preferito?". La fatidica domanda prima o poi arriva. Ogni qual volta mi capita di essere interrogato in questo modo la mia mente pare un deserto arido: vuota, quasi come se non avessi mai letto un libro. Il mio libro preferito? Ma... ehm... ecco io...
Chiaramente io ritengo non si possa avere un libro preferito in particolare, né un film o un piatto. Ci sono però alcuni titoli che salvano la vita. Che nel deserto della mente appaiono quasi come un'oasi salvifica. Uno di questi è certamente "Un altro mare" di Claudio Magris, un libriccino di poche pagine che racchiude in sé decine di citazioni colte e altrettante espressioni popolari. Che alterna un linguaggio finemente poetico ad uno più dimesso, informale. Nel libro è sì narrata una storia, ma in essa gli episodi storici o fisici non sono il fulcro dell'azione, è infatti sempre sotteso qualcosa di diverso, quasi magico. Il protagonista della storia non è un eroe né un inetto. E' esattamente chi fu, con i suoi difetti e pregi.
"Un altro mare" ti lascia qualcosa che necessita un accurato lavoro di scavo per poter essere compresa fino in fondo, scavo dentro te stesso e dentro il mondo. Io, a 21 anni non posso certo dire di aver trovato quel qualcosa. Intanto scavo, magari un giorno ci incontreremo alla fine del tunnel.

lunedì 6 agosto 2012

La fantomatica età adulta

Ogni volta che ci sono i miei genitori sono costretto a fumare una sigaretta per dimostrare a tutti di essere adulto. Loro ormai me lo lasciano fare. Chissà se una ventina di imbecilli insieme fanno una persona seria? Di sicuro quello stronzetto non avrà vita facile. Che se ne vada non ci cambia nulla. Io mi sono dato una ripigliata, non fumo più il bong. Solo le cannette che facciamo quattro chiacchere conosciamo gente nuova e ce ne stiamo tutti insieme in silenzio. Hai una cartina? Ciao scusa hai un accendino? Dovresti essere più aperto. Parlare con la gente. Ciao hai da accendere? Ti offro una birra se parli un po' con me. Te la offro anche se stai zitta. Che due coglioni vieni sempre a fare la morale. Perchè non te ne stai a casa? Vent'anni si hanno una volta sola nella vita. Se non le fai adesso certe cose quando le fai?  Tu blateri. Ci hai rotto le palle, davvero. Viene a chiedermi se voglio essere suo amico sto frocio. Ma guarda te. La slovenia fuma erba per tradizione. Da qualche parte a Nova Gorica ci sono le statue con sotto la foglia di ganja. In bisiacaria si beve per tradizione. Da qualche parte una frasca la trovi per fortuna. I miei genitori sono divorziati. Bon meglio così faccio quello che voglio. Che cazzo di domande sono? Alla fine ho deciso di concentrarmi solo su un esame per questa sessione. Ne faccio uno ma lo faccio bene.  A Bologna c'è un posto dove c'è un affresco con disegnata un casino di erba. Oh c'è questo mio amico che sta malissimo si fuma un ventino al giorno da solo. Domani andiamo da lui pomeriggio. Però possiamo andare solo in tre. Forse tre e mezzo combini a segarti un braccio e una gamba? Sennò facciamo così: passa alle 16 e 48, così puoi stare fino alle 5 che torna sua madre che palle. Io mi sono dato una ripigliata perchè, davvero, avevo esagerato. Sì sì adesso solo fumo. L'erba mi fa venire la tachicardia. Ho problemi di concentrazione, devo fumare sennò non riesco a studiare. Le immondizie buttale pure per terra. Passerà qualcuno a pulire. Mi prendo un po' di MD ma andiamo a nasconderci che sennò ci guardano male. Sti stronzi perbenisti poi vogliono anche essere chiamati amici. I miei genitori non sono divorziati infatti guarda che palle. Non vedo l'ora di andare a vivere da solo così fumo in camera. Fumo in camera quando mi pare e piace. Fatti gli affari tuoi. Bon se lui vuole andare lì che vada, ognuno è libero di fare quello che vuole.  No no hai capito male non siamo un gruppo siamo un assemblamento di individui unici che si sopportano. No scherzo dai. Quando ti saluto ti stringo la mano. Secondo me dovremmo essere un po' più blandi. Secondo me esageri, da qualsiasi cazzata tiri fuori una questione di principio. Non so secondo me dovremmo sempre pensare a cosa dovremmo essere e mai essere qualcosa che dici? A me sembra molto più semplice. Non gioco più con l'xbox. Mia sorella che non mi rompa le palle quella lì. Vuoi ballare? Vuoi saltellare per qualche minuto finchè non provo a infilarti la mano nelle mutande? Resta di spalle che hai un bel culo. Quello stronzo ha messo un esercizio che non avevamo mai fatto in classe. Ogni volta che ci sono i miei genitori devo sparire per non far vedere a nessuno quanto mi somiglino.


1 Agosto 2012, Istanbul

Non rinunciare mai (di Nick Traina)

Proprio quando credo di non poterne più
troppe volte deluso
uno del mio gruppo mi butta le braccia al collo
e dice che se non mi arrendo ce la farò.
A volte nella vita me la sono cavata così bene,
sono stato al culmine del successo.
Sono stato anche un mucchio di rovine
demoralizzato e piantato in asso.
Ma è così che vanno le cose,
Non ti puoi mai aspettare di più,
Per metà tempo vinci,
E per il resto sei a terra.
Questo mondo è pieno di bellezza,
come lo è di odio, ma è così che va,
Certe cose non cambieranno mai.
Concentrati sul positivo, e adopera il cervello.
Non rinunciare mai, e tutto andrà per il meglio.
Ad alcuni piacciono le droghe,
e ad altri piace combattere.
Da qualche parte il negativo ha ispirato ogni notte.
Bisogna dare esempi per 
i deboli di mente.
Non smettere di diffondere il sapere
sino alla fine del tempo.
Sono così tante le persone odiose
e così tante sono alienate.
Può farti pagare uno scotto,
la vita, quando viene risistemata.
E' un fatto dimostrato che
ottieni quello che dai,
e puoi decidere 
come vivere la tua vita.





Nicholas John Steel Traina, figlio della romanziera americana Danielle Steel e leader dei gruppi punk Link 80 e Knowledge, muore suicida il 20 settembre 1997 all'età di diciannove anni dopo avere combattutto tutta la vita con una sindrome maniaco-depressiva.

Questa è la sua voce:
http://www.youtube.com/watch?v=2as412Z1er0



domenica 5 agosto 2012

venerdì 27 luglio 2012

Untouchable freedom






Videoclip musicale di mia produzione della canzone "untouchable freedom" targata ambroprod, girato recentemente nel sud Italia, in provincia di Salerno.
Buona visione.

venerdì 13 luglio 2012

L'incontro


Stanotte ho fatto un sogno. Ho sognato il volto di una persona. Capelli castani, sporchi e crespi. Occhi stralunati, fuori dalle orbite, isterici. Viso pallido, scarno, funereo. La barba incolta e lo sguardo alienato fisso su di me. Non batteva ciglio. “Chi sei?” domandai. “Chi sei?” mi rispose. Stetti qualche istante indeciso sul dafarsi. “Chi sei?” gli domandai di nuovo. “Chi sei?”, come un eco dal fondo di un pozzo. Sentii che cominciavo ad agitarmi e quel volto si avvicinava sempre di più, sempre più vicino. “Devo fare un'altra domanda”  pensai. E mentre pensavo alla prossima domanda da porgere fui come sbalzato fuori dal mio corpo ed ecco che tutto si fece più chiaro. Vidi me stesso con le mani sui capelli, sporchi. I miei occhi avevano un non so chè di isterico ed ero pallido in viso. “Dimmi chi sei” dissi a me stesso, continuando a fissare lo specchio.

sabato 7 luglio 2012


Luglio 2011, Pag, Croazia.




Febbraio 2010, Sistiana.


Treno


Stazione semifantasma di provincia. Sottopasso che porta ai binari, lugubre.  Mi guardo attorno, con me aspettano il treno le solite persone incluse nel pacchetto stazionediprovincia: una donna malvestita che consuma una di quelle sigarette infumabili, un immigrato trasandato e parecchio sporco, uno studente alternativo con la barba che sembra abbia quarant’anni. Il treno chissà quando passa, leggo un po’: La cittaduzza di Verrières può passare per una delle più graziose della Franca Contea. Le sue case bianche con i tetti a punta, di tegole rosse, si stendono…  DIN DON: IL TRENO REGIONALE 5843 DELLE ORE 7.26 E’ IN ARRIVO AL BINARIO 2, ALLONTANARSI DALLA LINEA GIALLA. Salgo sul treno, come sempre è sporco e stracolmo di gente. Anche oggi dovrò lottare per accaparrarmi un posto decente. Mentre faccio ricognizione con lo sguardo per qualche posto appetibile, una signora dall’accento slavo mi chiede se voglio sedermi accanto a lei. Che culo! Mi siedo e con sguardo di trionfo mi pavoneggio di fronte agli ebeti rimasti in piedi. La donna credo abbia circa quarant’anni, è vestita veramente malissimo ed ha una sciarpa odorcasadimianonna che continua a piegare e ripiegare continuamente. Ha i capelli crespi e sporchi che stonano con il blu intenso dei suoi occhi. Occhimare la soprannomino. Come il mare fuori dal finestrino che scorre a velocità treno sulla mia sinistra. Il vento lo increspa leggermente e sembra possibile poter sentire l’odore di sale e la brezza che sferza teneramente le gote. Il posto accanto al mio è riservato allo zaino di Occhimare. Uno zaino anni novanta rosso stracolmo di roba. Chissà cosa contiene. D’un tratto estrae dalla tasca della giacca un telefonino molto all’avanguardia che stona decisamente con la sua figura. Compone un numero e chiude gli occhi quasi come a pregare che dall’altra parte qualcuno risponda. Ripete questo gesto più e più volte, poi desiste e caccia i suoi bellissimi occhi nei miei. Si è accorta che la stavo guardando. Riprendo il libro in mano: sul declivio di una collina, sulla quale boschi di vigorosi  castagni  segnano le minime sinuosità. Il Doubs scorre qualche centimetro…  la mia lettura viene interrotta da un signore con un forte accento meridionale, non so perché ma mi ricorda Camillo Benso, il Conte di Cavour.  Si lamenta a voce alta della stato attuale dei treni, e di conseguenza dell’Italia intera, io sorrido e, mentre sto riprendendo la lettura noto che Occhimare sta piangendo mentre parla al telefono. Grosse lacrime sgorgano dagli occhi color mare e mi intenerisco guardandola. Senza rendermene conto la fisso ancor più vigorosamente di prima. DIN DON: SIAMO IN ARRIVO AL CAPOLINEA … Occhimare se ne accorge, chiude la conversazione con uno scatto brusco e pianta per la seconda volta i suoi occhi nei miei. È un attimo. BOOM! Ho solo il tempo di rendermi conto che lo zaino anni novanta rosso che mi stava accanto era pieno zeppo di una quantità di esplosivo necessaria a far saltare in aria 500 bufali e 800 palazzi. E poi un gran casino, io, Occhimare, Cavour, il treno, la stazione, questa maledetta città, tutti insieme nel vortice di quel blu immenso, tutti a vorticare per l’eternità tra corpi amalgamati dal tritolo, irriconoscibili dopo lo scoppio.

venerdì 29 giugno 2012

Il primo uomo


Di Gianni Amelio, 2011.
Tratto dal romanzo incompiuto di Albert Camus, il film, ambientato negli anni '50 narra il ritorno in patria (Algeria) di Jean Cormery, scrittore e giornalista residente in Francia. La vista delle persone e dei luoghi a lui più cari suscitano al protagonista una serie di ricordi che vengono portati sulla scena con delle riprese intensamente espressive. Nel film i dialoghi sono pochi e semplici, poiché sono le inquadrature a parlare da sole. Esse ci raccontano la povertà, l'amore materno, i conflitti tra culture etniche differenti trasportandoci dentro il mondo privato di Cormery senza mai cadere nel patetico.
Ad un certo punto del film lo scrittore si rivolge a sua madre dicendo: "Che ne dici se un giorno scrivessi un libro su di te mamma?", lei risponde: "Non so leggere". L'infinita grandezza della semplicità racchiusa in due battute.

mercoledì 27 giugno 2012

Come può uno scoglio arginare il mare?


http://www.comune.monfalcone.go.it/contenuti/bo_lista_multiple_contenuti.asp?ambiente=comune%20di%20monfalcone&area=unica&sezione=Struttura%20Portale&Destinazione=menu%20livello%201&LINGUA=italiano&area_default=unica&sezione_default=Struttura%20Portale&Destinazione_default=news&dato_default=id_contenuti&contenuto_default=42584&tipo_template_default=D&bo_percorso_navigazione=%20%3E%20@@@

Recentemente ho letto sul quotidiano "Il Piccolo" l'articolo riguardante le future normative riguardanti l'ordine publico del centro città del comune di Monfalcone. Divieti di vendita di alcoolici per asporto (bottiglie di vetro ma anche lattine) dopo le 21 se non sbaglio, multe salatissime per chi dovesse essere pizzicato a farsi una birra (cit. alcoolici di qualsiasi gradazione) per strada. Tutto permesso invece se la bevenda viene consumata all'interno di un bar. Forse sarò l'unico ma io  in queste direttive ci vedo il crollo definitivo della ragione, o se non altro il crollo definitivo di una classe dirigente. Certamente tendo ad ingigantire il problema ma ho ragione di credere che i principi di fondo che sottostanno a  certe decisioni siano poi generalmente trasferibili e trasferiti ad altro tipo di decisioni. Nell'articolo si legge che una delle motivazioni principali di questo modus operandi sia la, sempre più preoccupante, questione della sporcizia (in particolare lattine e bottiglie vuote) lasciata da abituali consumatori negli spazi pubblici cittadini. Niente di più bello, niente di più giusto. Quale sia il nesso logico però, io proprio non lo capisco. Ci sono delle persone che commettono delle mancanze nei confronti della legge e soprattutto degl'altri cittadini sporcando luoghi pubblici; spesso queste persone sono abituali bevitori low cost e lo sporco che effettivamente si lasciano dietro spesso consiste in bottiglie e lattine. La conclusione naturale di questo discorso sarebbe una bella normativa che vieta di sporcare gli spazi pubblici (ovviamente una normativa del genere esisterà già) e che minaccia di sanzionare in modo pesante chi non rispetta questo divieto. E invece no. Nonostante sia evidente che l'impiego di forze dell'ordine sarebbe lo stesso, si decide per un altra via d'intervento: multa per chi, semplicemente, beve una birra in bottiglia al di fuori di un bar. Una persona non può andare nel suo bel negozietto di alimentari, prendere una birretta fresca dal frigorifero e sorseggiarla passeggiando tranquillamente per le vie del centro in una bella serata estiva. Perchè? Per colpa di pochi, a quanto pare, devono pagare tutti. Questa , a mio parere, non è una mossa intelligente in un comune con grosse tensioni sociali in cui l'equilibrio tra le parti e generale è spesso al limite del collasso. Qualcuno tra i coloro che hanno operato queste decisioni potrebbe persino rigirare la questione su una prospettiva etica e salutista. Il problema dell'alcoolismo è una piaga della nostra società e va combattuto. Di nuovo, nulla di più bello, nulla di più giusto. Il problema però è che tutto questo discorso non vale se si considera invece che, allo stesso tempo, una persona può in qualsiasi momento della serata chiudersi in un bar e bere quante birre vuole. Si potrebbe allora dire che è un problema di tipo economico: i negozietti di alimentari in centro restano aperti fino a tardi e , intelligentemente, la gente pensa bene di andare a prendersi la birra in questi negozietti piuttosto che farlo in un bar dove, inspiegabilmente, costa tre o quattro volte di più. Uno potrebbe pensare così ma questo, dal mio punto di vista, consisterebbe in un favoreggiamento da parte della giunta ad un certo tipo di attività a discapito di altre (che tralaltro spesso si differenziano dalle prime anche per l'etnia della gestione) ma questo sarebbe incredibilmente ingiusto e io non voglio credere che il nostro sindaco e il nostro consiglio possano anche solo pensare una cosa del genere  soprattutto , come già sottilineato, vista la particolare situazione della nostra cittadina. Tento di dare una mia spiegazione allora, ben sapendo che si basa su mie considerazioni personali che sicuramente mancano della preparazione adeguata per essere espresse.
In Italia le questioni riguardanti l'ordine pubblico o la salute dei cittadini hanno sempre un notevole impatto sull'opinione pubblica (chiedo scusa per la ripetizione) e di conseguenza sono di notevole interesse per le giunte comunali. Da sempre però l'applicazione compulsiva di questo tipo di direttive, con un numero sempre maggiore di zeri nelle sanzioni e con minacce sempre più severe per i contravventori, si risolve con un nulla di fatto se non con la percezione della necessità di una direttiva ancora più "forte" per risolvere il problema. Il circolo vizioso è evidente. Il risultati anche. L'abuso di alcool cresce a vista d'occhio e a farne uso sono ragazzi sempre più giovani, e la stesso vale per le droghe. Chi vuole, nonostante i risultati a cui hanno portato, continuare ad insistere su una politica repressiva e proibizionista ha per conto mio altre ragioni per la testa rispetto alla salute e al benessere della gente. La politica sembra essere in una costante crisi narcisistica che le impone di ottenere risultati quantificabili in posizioni scalate in squallide classifiche tra comuni e percentuali nei sondaggi. La salute e il benessere della gente non centrano nulla. Vogliono il centro pulito e che nessuno che dia fastidio a chi potrebbe poi fare una segnalazione in municipio. Nessuno ha il coraggio di affrontare il problema principale. Nessuno si chiede per quale motivo la gente senta la necessità di bere o di farsi, per quale motivo lo facciano i ragazzi. Continuare a fare multe e a mandare in galera la gente non risolve il vero problema. Una giunta coerente dovrebbe voler sapere e voler fare di tutto per facilitare il benessere della comunità, renderle il controllo per autocontrollarsi, darle la possibilità per curarsi da sè se c'è un problema. L'uso del conflitto con il problema da parte di coloro che dovrebbero risolverlo non porta a nient'altro che alla diffidenza, alla mancanza di fiducia e alla perdita di credibilità. L'uso e l'abuso di alcool e di sostanze di qualsiasi tipo sono la manifestazione di una debolezza delle persone interessate ma anche della comunità intera se questa non fa nulla per eliminare il problema. Questo dev'essere chiaro. E' troppo facile lamentarsi dal divano di casa propria, l'eco delle lagne della Monfalcone bene. Che si tratti di ingenuità o di inganno, il problema è grave e la responsabilità è di tutti. E' necessaria una presa di coscienza comune che ribalti l'idea del cittadino attivo solo in periodo elettorale, e allo stesso tempo è necessario da parte dei politici un'assunzione di responsabilità nei confronti del benessere dei cittadini piuttosto che nei confronti delle prossime elezioni. Inutile quindi tentare ancora una volta di gettare fumo in faccia alla popolazione cercando, parafrasando una bellissima canzone di Lucio Battisti, di arginare il mare con uno scoglio.


13 settembre 2009, Medana, Slovenia.

sabato 23 giugno 2012

Regolo


William Turner, Regolo 1828 (rimaneggiato nel 1837).
La leggenda narra che Attilio Regolo, prigioniero dei cartaginesi, venne giustiziato dopo che egli era stato mandato in patria a dissuadere Roma dall'attaccare Cartagine. Al contrario egli avrebbe esortato i suoi concittadini alla guerra, accettando così la morte avvenuta dopo varie torture. Tra queste, la recisione delle palpebre, che il pittore mette in scena dal punto di vista della vittima. Unica protagonista della composizione è la luce, la rappresentazione della quale interessava moltissimo all'artista. Essa avanza prepotentemente e invade, quasi divorandosi ogni cosa. Un quadro di strepitosa suggestione. 

giovedì 21 giugno 2012

Suprematismo


Kazmir Malevic, Quadrato nero su sfondo bianco 1913.
"La verità del pittore, è l'inscindibile connessione e la fusione. Il suo vero realismo non consiste nelle luce, nell'aria, nell'acqua, nelle e pietre, nel cemento, nel rame, nel ferro. La massa vede tutti questi fenomeni particolari nel quadro: vede aria, pietra, acqua. Ma, in realtà, sulla tela non c'è che un solo materiale: il colore." K. Malevic.

Non ho mai avuto nessuna simpatia per l'arte astratta ma, questo dipinto di Malevic e l'annessa affermazione furono per me come un fulmine a ciel sereno. Continuo ancora oggi a non prediligere questo tipo di figurazione ma credo che egli abbia ragione. Terribilmente ragione.  

mercoledì 20 giugno 2012

La chiave d'accesso: CAPITOLO 6 e 7 "La vita" e "Conclusione"


Sabato 11 Febbraio : La vita

Arrivai a quel venerdì completamente denaturalizzato. Il cammino di quei giorni attraverso la mente accidentata di quel ragazzo mi aveva permesso di ripoggiare i piedi sulla strada che attraversava la mia. Quella mattina le nuvole coprivano il cielo. La sveglia forse aveva suonato, forse no. Non l'avevo sentita o comunque non le avevo dato ascolto. Mi alzai senza guardare l'orologio e, camminando verso la cucina con l'obiettivo scontato del solito caffè, mi accorsi che i miei movimenti erano rallentati. La velocità e la frenesia sono un cattivo sintomo, come le ripetizioni. Ci ho fatto caso più volte da quel momento: le persone che abitano in sè, che sono sicure di sè, si muovono più lentamente delle altre. Penso che questo accada perchè non hanno più paura del tempo. Se si smette di camminare sul sentiero della vita insegnuendo una proiezione di noi stessi, irrangiungibile e girata di spalle, il tempo non è più un problema. La prospettiva longitudinale del vedere noi stessi proiettati in avanti ci distrae. Ci deruba del nostro presente, del nostro tempo. Bisognerebbe preoccuparsi di allargare la vita piuttosto che allungarla. Ora capisco chi lo sosteneva. Guardarsi attorno ci pone di fronte all'essenza del rischio. L'essenza del rischio che per l'uomo altro non è che un esigenza. La ripetizione ci mette al sicuro, i comportamenti circolari, compulsivi sono una facile via d'uscita ma il cambiamento è l'unica via per la felicità. Il salto nel vuoto. La nostra volontà è fuori dal nostro controllo, questo ormai mi è chiaro. E' qualcosa che ci supera, viene da quelcun'altro che abita dentro noi stessi. Il brivido della novità, dell'assenza di sicurezza, è capace di far battere i nostri cuori arrugginiti, di farci riassaporarte la libertà del nostro poter sceglierci. Le possibilità sono infinte. Le regole possono essere infrante senza che nessuno ci lasci le penne, anzi. La paura per molte persone, ed è stato così anche per me, è l'unico sentimento possibile. Anche l'amore era diventato paura ad un certo punto. Ma se la vita è solo paura allora come si può biasimare chi tenta di distruggerla, chi coscientamente corre a tutta velocità sulla strada dell'autodistruzione. Alla luce del sole, prendersi a sberle sorridendo. Alcuni hanno persino elaborato focose teorie che sostengono che sia giusto così, che sia inevitabile, che si vive una volta sola, che vent'anni si hanno una volta sola nella vita. Una volta sola. In tre parole , ora lo capisco, ammettere di essere schiavi della morte. Vivere essendo già morti, pensando solo alla morte e tentando, inutilmente, di sfuggirvi. Paradossale come chi non creda nella morte, chi si ostina a non crederci, alla fine si suicida lentamente estendendo la sua fine a tutta l'esistenza. La televisione, e chi c'è dietro di lei, ci ha promesso un futuro splendente, esagerato, senza limiti. Un paradiso sulla terra, un godimento eterno e infinito. L'ha chiamato felicità e ci ha fottuto tutti. Tutto ciò è irrangiungibile per la stessa natura dell'uomo. É una falsa promessa e ci ha reso tutti schiavi. La rincorsa verso un qualcosa di meglio, di quel qualcosa che forse arriverà domani, è una falsa speranza. É un inganno. É il miglior modo per tenerci in trappola, legati al circolo vizioso del capitalismo, dell'amore per l'oggetto. Tutto questo ci sta distraendo dalla verità, dalla bellezza del mondo, dall'incantevole sorriso di una donna, gli occhi di un bambino, la potenza di una cascata, il suono enorme di un tuono, la forza di un albero e la delicatezza di un filo d'erba, dalle parole di conforto, dagl'amici veri, dai fratelli, dalle madri e dai padri. Molto spesso tutto quello che ci serve è già attorno a noi, il resto bisogna andare a scoprirselo. Andare più in là, guardare oltre, toccare con mano liberandosi da quelle che sono, praticamente tutte, paure infondate.Constatare certe cose ti fa capire di essere cambiato, ti fa capire che ti stai guardando da un'altra prospettiva.

Mi colpì il fatto che non mi sentivo poi troppo diverso. Feci qualche passo per guardarmi allo specchio, vi trovai la solita faccia. Mi accorsi che ci stavo davanti ma non guardavo la mia immagine riflessa, guardavo la finestra, anch'essa riflessa, dietro le mie spalle. La mia figura non m'interessava poi molto, il resto sì. Il resto era un mistero.
Sospeso in quello stato di estasi terrena decisi di fare una passeggiata nel parco. Arrivato nel solito piazzale lo trovai deserto. La panchina nella sua triste solitudine sembrava godersi l'ombra dei cipressi, incurante della mia gioia. Il vento sovviava leggero e il vapore del mio respiro fuggiva veloce abbracciandolo. I rami verticali si accarezzavano tra loro facendo miagolare i colombi commossi. Il cemento dei vialetti tratteneva per sè un po' di calore per darlo ai gatti che, stanchi, si rotolavano sul suo addome. Quando le nuvole si addensarono decisi di prendere la pioggia, e di portarla via. Da sotto due improbabili ombrelli due ragazzini delle medie ridevano convinti, ondeggiando i loro ditini verso me che, fradicio, sorridevo alla vita.

Domenica 12 Febbraio : Conclusione

Mi alzai rilassato, voglioso di uscire. Decisi di fare un ultimo tentativo al parco. Speravo di poter salutare quel ragazzo che tanto era significato per me. Mi gettai addosso qualche indumento a caso e scesi in strada. Arrivato nel piazzale non trovai nessuno. Cominciavo a pensare che forse quell'eccentrico ragazzo non era nient'altro che una proiezione della mia mente quando mi sentii toccare sulla spalla destra. Mi girai e lo vidi, di fronte a me, sorridente e calmo. Mi disse:

"Spero di esserti stato d'aiuto, amico."

Feci per rispondere ma sentii un miliardo di parole che, contemporaneamente, lottavano per aggiudicarsi il posto in pole position del mio discorso, vinse un "sì" seguito a ruota da un "grazie".

Mi sorrise ancora una volta come per ringraziarmi a sua volta. Lessi nel suo sguardo un accento di libertà che aveva il colore del nuovo. Raccolsi la mie emozione da terra e cercai tra queste il coraggio di aggiungere un'ultima domanda :

"Che farai adesso?"

"Mi riposerò un po', oggi è domenica."

Eternal sunshine of the spotless mind



 Michel Gondry, 2004. Sceneggiatura di Charlie Kaufman con Jim carrey e Kate Winslet.
Il film, il cui titolo è stato impietosamente rovinato dalla traduzione italiana (Se mi lasci ti cancello), tratta, attraverso il superbo stile cinematografico dell'inconscio di Gondry e Kaufman, il tema del ricordo.  Joel e Clementine tentano, con l'ausilio di una bizzarra tecnologia, di dimenticarsi l'un l'altra, decisione che porta alla totale confusione nella loro mente e nel film stesso. Un ricordo doloroso in quanto tale deve essere eliminato? Chi e cosa siamo se non il risultato delle nostre esperienze e dei nostri ricordi? Jim Carrey in versione drammatica dimostra di essere un grande attore e Kate Winslet è formidabile, come sempre. 
Un film che lascia un sacco di domande aperte e che consegna in mano allo spettatore il compito di rispondere.


martedì 19 giugno 2012

La chiave d'accesso: CAPITOLO 5 "L'amore"


Venerdì 10 febbraio : L'amore

C'è in ogni uomo una tendenza a voler superare i propri limiti, a voler esagerare. Altrimenti è difficile spiegarsi come l'essere umano cerchi, costantemente, di andare nella direzione sbagliata. Una volta trovato un equilibrio decente, lo supera e lo stravolge. Di nuovo e per sempre. Questa tendenza che qualcuno ha chiamato Thanatos, istinto di morte, e che altri chiamano estro o determinazione, è ciò che ci rende umani. E' propobabilmente ciò che ci ha permesso di evolverci in maniera così strana rispetto ai nostri fratelli animali. In contrasto con questo esiste una forza benevola, indiscutubile, che ci strattona su quella che, impropriamente, chiamiamo "retta via". Tutti ci siamo resi conto, almeno una volta nella vita, che esiste, o che deve esistere, un fattore positivo soprannaturale che guida un uomo nel fare le cose nel modo giusto. E' ciò che fa la differenza. E' l'amore. L'amore nel senso più ampio e più preciso allo stesso tempo, l'amore nel senso di gesto d'amore, segno d'amore. Si può facilmente ricondurre, a mio avviso, ogni violenza o tragedia della storia dell'uomo ad una mancanza, ad un'assenza, di questo segno. Comportamenti violenti, di tipo psicologico o fisico, sono sempre conseguenza di un dolore oltre che causa. La violenza non può che nascere da altra violenza, e questa non è altro che una mancanza d'amore. Figli violenti sono conseguenza di genitori distratti, incapaci, non pronti, non amanti. E questi, a loro volta, sono tali in quanto figli di genitori altrettanto inadeguati. Figlio dopo figlio il mondo si è riempito di genitori e di eredi inadeguati che hanno creato tra loro relazioni, un'altra volta, inadeguate. Queste relazioni hanno portato alla formazione di comunità attraverso legami complessi conseguenza di quella che è quindi un' esponenziale assenza d'affetto. Il peccato originale, direbbe qualcuno. La colonna portante dell'umanità, crepata e traballante. Il lato più affascinante di tutto ciò è che l'amore non è una prerogativa del passato, non è un anziano signore in punto di morte, non è legato al tempo remoto ma al presente. La sua capacità è quella di rigenerarsi continuamente se maneggiato a dovere. Non morirà mai finchè non morirà l'ultimo uomo. Finchè ci sarà qualcuno che, stucco alla mano, ristrutturerà quella traballante colonna portante, ci sarà speranza e in qualche modo ci sarà bene, ci sarà vita. La sua forza sta, come per alcune arti marziali, nell'avversario. Un uomo che sa cosa vuol dire l'amore non risponde alla violenza con altra violenza, l'assorbe,l'asseconda e risponde con un sorriso. In questo modo da una disputa la forza negativa, il male, scompare, assorbito, lasciando spazio all'amore che può persino espandersi in un contagio plastico.
Mi era sembrato questo l'insegnamento più importante di quel mio seminario improvvisato tenuto da un folle dai lineamenti incerti, anche se d'amore non s'era mai parlato. Percepivo quel ragazzo nel parco come il mio riflesso in uno specchio che non c'era, l'ombra di una verità irraggiungibile.
Alle 7 di mattina ero già in piedi, vestito e lavato, pronto per la lezione. Una volta sentii uno psicanalista dire che la felicità si può comprendere quando ci si alza la mattina chiedendo "ancora". Ancora un po' di tutto questo, per favore. "Ancora", sussurrai. "Ancora di più", pensai. L'ambizione è nemica del successo solo quando il successo lo decreta qualcuno che abita al di fuori di noi stessi. Altrimenti è la sua migliore amica e può non avere limiti. Può avanzare in un rapporto asintotico con la felicità, soddisfacente in quanto concreto e allo stesso tempo slegato dal mito del "dover arrivare". D'altronde non è forse vero che un viaggio diventa memorabile solo quando è stato memorabile il tragitto, il cammino?

Così pensavo trotterellando verso il parco. Guardando il cielo azzurro e facendo passare antipasti di aria fredda su per le narici congelate. Il mio giovane amico, quella mattina, non era da solo. I suoi occhi non erano persi nel mondo come le altre mattine, erano paralizzati in un obiettivo. Un obiettivo di carne vive. La biologia dell'interazione tra sguardi formava una dimensione distaccata alla quale gli altri mortali non potevano accedere. Erano due oggetti fusi in un unico terzo, che osservava la realtà. Si accarezzavano, anche. Si sfioravano in un gioco di fusa senza compromessi e recite. Veri innamorati.
Sulla panchina accanto a lui se ne stava accovacciato infatti un fantastico esemplare canino. Appartenente a nessuna razza, ne religione. Un cane. Il pelo biondo sfilacciato dal tempo e dall'esperienza. Le croste di fango sui ciuffi più lunghi, gli occhi grigi di un anziano signore. Era una femmina, mi accorsi. Teneva la testa appoggiata sulle gambe del mio maestro schiacciandovi delicatamente la gola calda e leggermente sbavata. Gli occhi socchiusi parlavano di un sogno di complicità infinita.
Mi avvicinai per parlare, chiesi:

"Non ti avevo mai visto in compagnia, chi è questa bella creatura?"

Si girarono entrambi come in un tuffo sincronizzato. Si scambiarono uno sguardo sorridente, poi lui parlò:

"Lei è Libera. Mia compagna di vita da molti anni ormai. E' la mia parte mancante, la mia complice instancabile. Puoi accarezzarla, se ti va, ne sarà felice."

Avvicinai timidamente la mano come per paura di essere morso. Sentii i suoi baffi di plastica strofinarsi leggermente sulla pelle. Accompagnò il mio gesto muovendo la testa come in un guaito silenzioso. Fece uno sbadiglio di conferma.

"Non l'avevo mai vista – dissi – da queste parti, dov'è stata tutta la settimana?"

Mi guardò curioso.

"Non lo so dov'era – rispose – non la vedevo da più di un mese, in realtà. Non lo so dove fosse e non m'interessa, nei suoi occhi vedo la felicità e questo mi basta, basta! - esplose quasi silenziosamente in un raptus- si chiama Libera, perchè è libera. Ci vuole tanto? Alla fine torna sempre qui quo qua ma può succedere che sia io a partire per andarla a trovare, perchè ho bisogno di lei. Oppure lei torna, perchè ha bisogno di me. Ma non so dove vada, dada. Non ci rincontriamo perchè dobbiamo ma perchè altrimenti non ce la facciamo a ritrovare noi stessi. Nessuno obbligo, di nessun tipo capisci? E' tutto vero"

Pensai per un attimo di aver sopravvalutato la sua sanità mentale. Mi stava parlando di un fidanzamento con un cane, tutto sommato. Confuso decisi di chiedere, avendo ormai imparato che solo chiedendo potevo risolvere i miei dubbi:

"Scusa..mi stai dicendo che tu e questa bellissima cagna siete fidanzati?"

Sorrise guardando la sua consorte. Lei rispose con un leggero bofonchiare come a dire "che palle".

"Ti posso dire di sì che siamo fidanzati così penserai che sono pazzo, ti posso dire che lei è la mia migliore amica così penserai che questa è semplicemente una bella scena. Non lo so cosa siamo e posso dire con sicurezza che non ce ne frega un cazzo. Siamo, a differenza di molti, e basta. Non ci sono compromessi, io sono uomo, lei un cane. Nessuno tenta di convincere l'altro che il suo è il modo di vivere migliore. Ci rispettiamo e abbiamo imparato a farlo conoscendoci. Ho provato a cagare come lei una volta ma lei mi ha guardato strano, mi ha detto che cazzo fai caga come ti viene meglio. E così faccio, e stiamo bene. Poi chiamaci fidanzati, amici o rastrelli a me questo non interessa, e a lei nemmeno. Te lo posso assicurare. Vero Libera?"

L'animale rispose di sì. E si alzò per andare da qualche parte, forse proprio a cagare. Lui la guardò ancheggiare stanca e sorrise. Disse "Fa sempre così". Poi si rivolse a me e mi chiese:

"Tu hai mai provato l'amore?"

Rimasi qualche minuto a pensare. Le sue domande non esigevano una risposta, non creavano aspettativa, quindi mi presi il tempo che serviva per fare un giro nei miei ricordi. Sentii una morsa arrugginita aggrapparsi allo stomaco, dissi:

"Molto tempo fa..."

"Dovresti riprovare – incalzò lui – altrimenti che ci stai a fare qui?"

Mi alzai e me ne andai senza salutare. Non che qualcuno avesse richiesto il mio saluto, d'altronde. Con la triestezza nell'anima e negl'occhi decisi di passeggiare un po'. Quand'è che avevo rinunciato all'amore? Non me lo ricordavo e da un certo punto di vista mi sembrava di non averlo mai fatto. Mi sembrò che per anni avessi semplicemente amato per conto di altri. Altri avevano amato me, e io con loro avevo semplicemente amato il loro amare me. Sentii come la sensazione di ritornare nel mio corpo. Pensai ad altro mentre tentavo di restare sull'argomento. Infine decisi di non forzarmi e guardai i fiori. Poco più in là passava una ragazza troppo giovane per me, aveva un giubbotto verde militare e le idee confuse. Le sorrisi.
Lei fece finta di rispondere al telefono. Sorrisi di nuovo, questa volta per me.