martedì 6 agosto 2013

Tè verde



"Ma che colpa abbiamo, io e voi, se le parole, per sé, sono vuote?"


D’innanzi al mare verde, siedono due persone, due uomini più o meno della stessa età. L’uno dopo vari sospiri prende parola e dice: “Ho conosciuto una donna”
“Davvero?”risponde l’altro. “ Com’è? Simpatica?”
“Stavo seduto al bar da parecchio tempo, quando d’un tratto sento una presenza fissarmi. Una di quelle presenze forti, magnetiche. Mi volto e vedo una ragazza, molto più giovane di me, che abbassa lo sguardo e sorride. Io sorrido, mi accendo una sigaretta e inizio a fissarla ad intervalli regolari. Lei sembra imbarazzata ma non se ne va. Rimane seduta al suo posto e ordina un tè verde.”
“Un tè verde?”
“Si proprio così, un tè verde. poi si fa portare una cannuccia dal cameriere e inizia a gustarsi la bevanda, fingendo che io non ci fossi. Allora io inizio a pensare di essermi immaginato tutto, spengo la sigaretta nel posacenere e rimango assorto per i fatti miei. Di fronte al bar, al primo piano, c’è una casa che tiene perennemente aperta la finestra che dà sulla strada. Io fantastico spesso sulla vita del proprietario dell’appartamento. Si direbbe appartenga ad un musicista, o forse a un pittore. I muri sono dipinti di arancione e vi si può vedere appeso un quadro astratto blu e bianco. Sul davanzale dei fiori rossi e gialli. Proprio mentre penso alla vita del mio musicista-pittore, risento la presenza magnetica della ragazza. Mi giro nuovamente e questa volta non abbassa lo sguardo ma rimane fissa con i suoi occhi dentro i miei. lì per lì mi sento preso in contropiede, non so che fare e arrossisco. Lei sorride con noncuranza e sorseggia dalla cannuccia. Allora mi alzo e mi siedo al suo tavolo, troppo bruscamente forse, ma ormai c’ero dentro fino al collo, credimi.”
“Di già?”
“Certo,di già, come un bambino. Istintivamente, senza chiederle come si chiama le offro una sigaretta e lei accetta dolcemente. Annuisce con un piccolo cenno della testa e mi sento uno stupido a sentire un brivido dietro la schiena. A te non è mai capitato?”
“Come no..capita a tutti prima o poi..”
“Dici?”
“Si, si certamente. Un po’ di tempo fa avevo l'abitudine di andare in biblioteca a leggere, a rilassarmi. D’intanto in tanto avevo bisogno di un libro, così mi recavo allo sportello. Lì vi lavorava una ragazza, di una bellezza eccentrica, inusuale. All’inizio mi sentii come incuriosito, stuzzicato dall’idea di aver a che fare con questa donna. I giorni passavano ed io sistematicamente mi dimenticavo persino della sua esistenza, poi, ogni qualvolta rimettevo piede in biblioteca la sua rara bellezza mi spiazzava. Ci scambiavamo delle occhiate fugaci ma terribilmente intense, cariche di qualcosa che è impossibile descrivere. Qualcosa che quando incontri non riesci a scordare, seppur la vita continui a fluire come sempre, le ansie, le paure, le preoccupazioni facciano comunque capolino come di consueto.”
“Poi, che accadde?”
“Accadde che un giorno -fuori pioveva a dirotto- arrivai in biblioteca trafelato, di corsa, e le passai davanti senza nemmeno guardarla. Ad un certo punto mentre stavo consultando un libro sentii alle mie spalle uno sguardo..magnetico.”
“Magnetico?”
“Si, proprio così, magnetico, tanto che avevo quasi timore a girarmi. Poi mi girai e vidi che lei, la bibliotecaria, mi stava fissando intensamente a qualche metro di distanza. Io le sorrisi e lei rispose sfoggiando un sorriso di una dolcezza infinita. Nessuno dei due disse niente per lunghi attimi. Poi lei si girò e tornò al suo lavoro, come se niente fosse accaduto. Si relazionava agli altri con la solita disinvoltura, la solita leggiadrìa.”
“Tutto qua?”
“Si beh, questo episodio si svolse così, ma no non è tutto qua se intendi… piuttosto tu, le offri una sigaretta e..?”
“..lei accetta dolcemente. Aspira il fumo con avidità. Ci scambiamo uno sguardo intenso e prolungato, non riesco a dire niente, qualsiasi cosa mi saltava in mente era banale, scontata.”
“Tutto qua?”
“No, non è tutto qua, se mi lasci il tempo di finire finisco il racconto no?”
“Si scusa hai ragione.. dicevi..”
“Dicevo che non mi usciva una maledetta parola dalla bocca. Ero pietrificato dal suo sguardo, dai suoi lineamenti aggressivi. Credo che avrei voluto rimanere in quello stato eternamente. Lasciare che le persone si sposassero, avessero figli, morissero mentre io sarei rimasto lì, in un’estasi perfetta, in un equilibrio immortale. Poi lentamente, a stento, cominciammo a parlare del più e del meno, scoprimmo di avere molte cose in comune..sai, i bei film, la letteratura, la cioccolata!”
“La cioccolata?”
“Sì, ne va matta. Ama anche il profilo delle montagne viste da lontano, l’odore dell’erba appena tagliata e un sacco di altre cose che non ricordo.. piuttosto tu con la storia della bibliotecaria mi hai incuriosito.. e non poco! Cosa successe poi?”
“Niente, iniziammo a frequentarci … mi resi subito conto che era una donna speciale, una di quelle persone che nel bene e nel male non si dimenticano mai. Io aspettavo che finisse di lavorare e uscivamo a cena assieme, bevevamo un bicchiere di vino e quando iniziavamo ad esserne inebriati passeggiavamo lungo la spiaggia fino a dimenticarci di noi stessi. Ridevamo molto e facevamo l’amore a lungo. Fu un periodo molto intenso, molto vivo.”
“E poi?”
“E poi niente...”
“Scusa, che intendi con niente? Insomma, sarà accaduto qualcosa, qualsiasi cosa!”
“Ci lasciammo”
“E perché? Perché vi lasciaste?”
“Scoprii che amava il tè verde”

sabato 29 giugno 2013

Silenzio





Ho scritto centinaia di pagine
vuote
piene di tristezza e paura.
Le ho buttate
tutte, gettate al vento.
Eppure non posso (I can not)
non continuare a farlo.
Riempire pagine di niente
e restare a guardarle
attonito e muto.
Rigettarle poi al vento, nel vuoto
e rimpiangerle come un figlio mai avuto.

mercoledì 15 maggio 2013

Portrait of a ghost town


Il portovecchio di Trieste ha sempre esercitato un certo fascino su di me. Sono da sempre rimasto incantato guardandolo scorrere sulla destra dei binari, arrivando in città con il treno. Sarà per la mia ossessione verso gli edifici disabitati e decaduti, sarà per la quiete non reale che lo pervade. Mi sono aggirato per le sue poche strade percorribili e la sua potenza fisica mi ha intrappolato, stregato. Non ho minimamente idea di che fine farà, cosa diventerà o come sarà "riqualificato", io intimamente spero che rimanga così. Un'oasi deserta nel bel mezzo della città. 









lunedì 6 maggio 2013

Il futuro è lontano


Sento i rumori che danno sul porto,
aldilà dell'Isonzo; verso un luogo sicuro
dell'Io.

Il futuro è lontano.

 Suona l'eco del vento in gennaio
all'Università i rimorsi da perdere,
la strenua lotta del parlarsi in silenzio,
dei discorsi finti e le maschere. 

Si fotta la gente 
e il suo giudizio inesistente, 
l'eremita codardo che piange il suo ricordo
nel freddo di una grotta buia.

Ho visto menti sospese nel non vivere,
la droga per darsi delle spiegazioni,
inesistenti anche loro. Ho provato il non dolore
del non essere, il sapore del potere insipido,
il profumo del soldo fallico, il cane del vicino 
sempre più costoso del mio. 


Il futuro è vicino,

come le parole di quell'Enrico in fuga,
sono una certezza sibilante:
"chi vive domani è già morto"

sabato 6 aprile 2013

"Al lupo"


Il cameriere conduce cortesemente i clienti al loro tavolo. “Va bene qui? O forse è meglio qui?”. I quattro si scambiano uno sguardo d’intesa “Meglio qui, grazie” e si siedono in un tavolo da cinque. Il ristorante l’ha scelto Marco, come sempre. L’unico requisito che deve avere, a parere di tutti, è che sia abbastanza di lusso, tranne i prezzi. Accanto a loro una coppia di giovani innamorati sta finendo di mangiare, mentre un anziano malinconico sorseggia un calice di vino rosso all’angolo, con sguardo ieratico. “Mi scusi, il bagno dov’è?” chiede Lorenzo al giovane cameriere effeminato “In fondo a destra, scenda le scale, dritto davanti a Lei” “Grazie mille” e si alza con un piccolo scatto, dirigendosi verso la toilette. “Insomma, avete sentito?” esordisce Filippo con piglio divertito “Lorenzo ha detto che si sposa, ma ci credete? Io personalmente no, ma l’avete vista quella? Secondo me è finta come una bambola”. Gli altri due si guardano divertiti “Secondo me gli vuole spillare tutti i soldi” dice Marco, “E’ capitato a più di qualcuno, grande amore grande amore, e poi scappano con i soldi,magari alle Maldive.” “Io tutti ‘sti soldi Lorenzo non credo nemmeno ce li abbia, no? Insomma ok, l’autosalone e tutto, ma non ha pagato la cena nemmeno alla sua laurea…” dice Matteo con tono seccato, quasi distratto. “Ce li ha, ce li ha, i suoi sono pieni fino alle orecchie, credimi” risponde sicuro Marco. “Sarà, ma a me sembra piuttosto che lei sia una di quelle poco serie, a cui piace dormire un giorno qua, un giorno là.” Ribatte Matteo, chiudendo velocemente il discorso, poiché Lorenzo era ormai a pochi passi dal tavolo, di ritorno dal bagno. “Insomma, che si dice? Bello questo posto, il bagno è una figata, dovete andarci! Pulito e profumato, bella scelta Marco” “Davvero?” risponde Filippo “Beh, un salto io lo faccio, me la sto facendo addosso” e si alza tempestivamente. “Che vi avevo detto? Filippo è ingrassato o no come un bue? Guardate che pancia!” esclama Lorenzo. “C’ha pure il doppiomento!” dice Matteo, e tutti tre scoppiano a ridere. “Meno male che la salute era importante, la piscina, la corsa, la bicicletta, ma da quando lavora seriamente, che fatica muovere le chiappe eh?” . Marco alza improvvisamente un braccio  “Cameriere, un litro di vino rosso e uno di bianco, grazie, il mangiare vediamo poi, quando il ragazzo torna dal bagno, grazie!” “Il ragazzo? Sembra abbia quarant’anni dai” continua sugli stessi toni Matteo, facendo palesemente divertire gli altri due. “Cambiamo discorso dai, la partita l’avete vista ieri?” dice Marco, improvvisamente ricomposto, con il cellulare in mano e intento a scrivere un sms. “Che batosta la partita!” urla Filippo di ritorno dal bagno “4-0 senza storie!”.  Il cameriere porta il vino e alcune pagnotte di pane in tavola, i quattro approfittano della sua presenza per ordinare il pranzo. Un antipasto per tutti, un primo a testa, e un secondo solo per Filippo. Gli altri tre si scambiano un’occhiata divertita, e iniziano a sorseggiare il vino dal loro calice. Marco lo vuota in un solo sorso, e se ne riempie un altro. Improvvisamente gli squilla il cellulare “Scusate” dice piano mentre sguscia fuori dal tavolo e si allontana un poco prima di rispondere, premendosi l’orecchio con l’indice. “Avete visto con che velocità ha vuotato il suo bicchiere?” dice immediatamente Matteo “Accidenti!” risponde Filippo “Ma dico io, due litri doveva ordinare? Se fossi stato qua quando li ha ordinati gliel’avrei impedito, insomma non è solo per il fatto che poi se ne va in giro ubriaco, ma la salute, la salute è importante ragazzi!” “Si, si va bene è importante, ma come fai a lavorare ubriaco il pomeriggio? Io già con un bicchiere so che non combinerò niente pomeriggio, mi butto sul divano e via…” ribatte Matteo. “Si pure io, bevo un bicchiere e basta, se no poi Claudia non mi parla per tutto il giorno, sapete da quando sto con lei..”  “Si, si, lo sappiamo… Lorenzo, lo sappiamo” dicono gli altri due assieme tagliando corto ed evitando bene di incrociare gli sguardi. Intanto Marco riprende il suo posto, vuota ancora il bicchiere in un sol sorso e se ne riempie un altro. “Scusate era mia moglie, ultimamente è un periodaccio… non mi lascia un secondo di calma, poi con il problema della piccola…” “Non preoccuparti, non ti devi scusare con noi, comunque per qualsiasi cosa sai che puoi contare su di noi” dice con tono sommesso Filippo. “Grazie ragazzi, non è sempre facile affrontare i problemi, le preoccupazioni. Ogni tanto penso a quanto terribile dev’essere non avere qualcuno su cui si può contare veramente, qualcuno che non ti volta le spalle appena ti allontani, qualcuno che, nonostante i difetti ti apprezza per quello che sei veramente. Non so proprio come farei senza di voi!”. Probabilmente a causa del secondo bicchiere di vino trangugiato a stomaco vuoto, o da un lampo di intima sincerità, Marco si era lasciato andare in questa sorta di elogio agli amici, i quali, un po’ imbarazzati e stupiti non seppero che dire. Improvvisamente Filippo riesce a cambiare discorso e a focalizzare l’attenzione su una partita che veniva trasmessa nella saletta adiacente a cui si trovavano. Lorenzo e Matteo, invero non troppo abilmente, dandogli corda iniziano un discorso zoppicante sul calcio, distogliendo definitivamente l’attenzione sul discorso dell’amico, ormai decisamente alticcio e sconfortato.
Fortunatamente poi il cameriere porta le pietanze, e i discorsi riniziano a sgorgare spontanei dalle bocche piene e semipiene dei quattro uomini. Una volta finito di mangiare, Matteo finge di dirigersi verso il bagno per poi rivolgersi alla cassa per pagare il conto. Filippo e Marco, una volta scopertolo, protestano energicamente mentre Lorenzo finge solo di farlo, poiché era accaduto proprio quello che sperava. Usciti dal ristorante, decidono di fare quattro passi sul lungomare, e Matteo, dopo pochi istanti prende subito parola dicendo: “Sapete, stavo ripensando a quello che hai detto prima, Marco. Alla difficoltà di affrontare i problemi, le preoccupazioni; alla necessità di avere un appoggio, un sostegno su cui contare. Io molte volte mi sento al contrario solo, così solo che non riuscirei mai a pronunciare  un discorso simile. Spesso avverto una tale tristezza, una tale malinconia nelle persone e negli oggetti che mi circondando, che non posso non articolare pensieri cinici e pessimistici,  sul mondo e sulla vita. Ogni tanto mi sento addirittura come quel tale che gridava “Al lupo! Al lupo!”, ma che in realtà non lo aveva avvistato, e che poi, la volta in cui lo avvistò e gridò “Al lupo!”,  nessuno gli credette e finirono tutti sbranati. Capite ciò che intendo?” In quel momento gira lo sguardo verso i suoi amici. Filippo ha le cuffie agli orecchi e segue  in modo trasognato la partita per radio, Marco ha in mano il cellulare e scrive un sms con sguardo inebetito, Lorenzo, con le mani in tasca fischietta e guarda altrove, verso alcune ragazze che corrono sulla spiaggia, poi si gira e guarda Matteo con tono mal celatamente interessato “Scusa… dicevi?” “Niente” risponde Matteo, “Niente…”

venerdì 29 marzo 2013

All the lonely people



I personaggi di questi scatti sono personaggi anonimi, soitari. Mi piace poter pensare che essi siano chiunque e paradossalmente dovunque. Camminano assorti in una serie imprecisata e indefinita di pensieri e preoccupazioni. Hanno un’andatura talvolta lenta e posata, altre volte frenetica e sincopata. Mi piace pensare a loro come dei burattini con fili invisibili, che camminano senza una meta precisa, senza uno scopo definito, ma soprattutto senza un motivo particolare.  “Oh, look at all the lonely people! Where do they all come from, where do they all belong?”  








martedì 19 marzo 2013

Mimesis


Ideato e realizzato da Matteo Mascarin
Musica di Fabio Ambrosino

Gli esseri umani sono capaci di simulare ciò che non sono, e dissimulare ciò che sono. Gli oggetti no. Essi; manufatti, fabbricati, utensili, mostrano ciò che sono. Molte volte proprio il loro essere inanimati gli conferisce una sincerità assoluta. Non possono fingere ciò che non sono. Non possono non mostrarsi autentici. Attorno a me, per quanto si possa dire il contrario con  forza, è questo che vedo. Vedo la desolazione. La disperazione urlata da chi non può farlo. Vedo gli intonaci cadere, gli infissi decadere. Vedo le mura percorse da brividi di paura. Sento l'angoscia al contatto con esse. 
"Aprite gli occhi", forse è questo che voglio dire, trasmettere. "Aprite gli occhi" è quello che vorrebbero dire gli oggetti. "Non potete abbandonarci, non potete fare finta di non guardarci, di non soffrire assieme a noi. Non esiste progresso, non esiste crescita infinita, non esiste nessuna nemesi storica. Niente è stato creato per uno scopo ultimo, per una causa superiore. Guardateci."
Amo la verità, dite pure che sono pessimista, decadentista, cinico. Ma questi oggetti, questi luoghi, forse che non dicono la verità?


sabato 23 febbraio 2013

mercoledì 20 febbraio 2013

Fort da



Articolo pubblicato sul numero di febbraio 2013 del periodico universitario Charta Sporca (http://chartasporca.blogspot.it/).

E' una giornata di fine ottobre e, come al solito, fuori piove e io non ho l'ombrello. Arrivo in aula molto presto e molto fradicio. Si sente nell'aria che è un giorno particolare, e ho infatti già intravisto un cameraman Rai con una videocamera del 1492. Lui deve essere un po' più tardo, di poco però. Mi scolo velocemente due caffè Illy dalla macchinetta automatica, e inizio ad aspettare. Piano piano cominciano ad arrivare i primi personaggi con un sorriso baldanzoso in faccia. Io intanto prendo posto, e faccio bene perché in venti minuti la stanza si riempie di gente. C'è grande euforia nell'aria. I presenti si scambiano sguardi ammiccanti, sorrisi più o meno sinceri, strette di mano circostanziali. Mi sarei aspettato di vedere più facce giovani, o forse ci sono, anzi, i giovani intellettuali barbuti sui quaranta, ci sono eccome. Ad un tratto ecco spuntare i pezzi grossi, i docenti che contano, uno di loro si siede proprio accanto a me e non posso negare di sentire un lieve piacere per questo. Quando poi l'aula si è riempita come un uovo sodo, ecco che entra lui, l'eminente studioso, colui per il quale siamo tutti qui riuniti. La preside di facoltà, con cappotto rosso, introduce la lezione intitolata "filosofia e scrittura". Non si dilunga troppo in discorsi inutili, pronti via.
Ricordo immediatamente di non essere filosofo, e di fare fatica a star dietro all'insigne professore e al suo specialistico eloquio. In soli dieci minuti ho già perso la metà dei nomi che vengono citati e allora mi guardo attorno. Per fortuna non sono l'unico a non capire un fico secco di ciò che sta dicendo il docente in cattedra, vedo pose scomposte, facce trasognate, occhi persi nel vuoto. Decido, grazie alla mia solita caparbietà mattutina, di prendere comunque qualche appunto, ed ecco cosa scrivo: "epoché"; "filosofia come stile di vita"; "tempo e racconto"; "Hegel: scrittura del pensiero". Riguardo sconfortato le righe che ho appena buttato giù, e un po' rimpiango di non essere rimasto nel mio letto caldo. Non riesco ad accontentarmi di essere qui solo per fare presenza; per timbrare il cartellino, farmi riprendere dalla telecamera e tornare a casa, assieme al 95% dei presenti, senza un arricchimento che mi ero onestamente aspettato da questa lectio magistralis. D'altronde, mi dico, queste cose funzionano così, è una sfilata, un narcisistico pro forma. Proprio quando ho ormai perso ogni reale speranza, ecco che l'eminente professore cattura la mia attenzione affermando: "Non c'è pensiero senza scrittura, essa è inevitabile per comprendere la filosofia. Essa inoltre non si concentra solo su un soggetto, ma quest'ultimo è sempre doppio o triplo (Marcel Proust). Quando scriviamo, non abbiamo padronanza assoluta di noi stessi, attuiamo un distanziamento: il soggetto, scrivendo, si allontana dalla propria soggettività". EPIFANIA. E ancora: "Il filosofo deve cercare di inventare una lingua straniera, deve forzare i limiti del suo territorio". EPIFANIA SECONDA. "Il rapporto tra filosofia e scrittura, tra soggetto e oggetto (o soggetto-soggetto), è  il freudiano gioco del rocchetto: presenza e assenza. Fort (dal tedesco "via, lontano, partire"), e da ("ecco, qui")". COLPITO E AFFONDATO. In poche parole, non c'è distanziamento (fort) senza ritorno (da), la scrittura infatti è e deve essere un test per verificare la distanza da noi stessi. E' grazie a questa dialettica di forze opposte che nasce il pensiero, la filosofia, l'arte. Casa non mancherà mai, se prima non la si abbandona. Non c'è felicità senza dolore, paura senza speranza. 
La lezione finisce, applausi scrosciano spontanei, i pensieri dei più tornano alle cose di ogni giorno, alle incombenze quotidiane. Velocemente schivo la folla ed esco dall'edificio universitario, la pioggia continua a cadere insistente e il mio cappotto, che avevo posato sul termosifone, torna a bagnarsi. "Fort da" penso. E non mi dà poi così fastidio quest'acqua. 

domenica 20 gennaio 2013

sabato 19 gennaio 2013

domenica 13 gennaio 2013

LivePainting




Si conclude così l'esposizione artistica tenutasi a Monfalcone dal 29 dicembre 2012 al 10 gennaio 2013 (nella sala comunale Antiche Mura di via fratelli Rosselli) in occasione de "Le vie dell'Arte". Massimo Racozzi, Fabio Babich e Michele Nolli (mancava purtroppo all'appello Nicolas Perra, il quarto artista che ha esposto le sue opere assieme agli altri tre nella sala comunale), hanno performato dal vivo, disegnando le loro opere davanti ad una curiosa manciata di persone. Ad allietare il pomeriggio con la sua chitarra, è stato Matteo Della Schiava, che si è spontaneamente divertito a cantare e suonare, donando un piacevole sottofondo all'opera in fieri dei tre. 




Un plauso quindi, all'organizzazione della manifestazione da parte di VivaCentro, Ascom Monfalcone e Mandamento e al Comune di Monfalcone. 
La domanda che sorge però spontanea è una: Perché queste cose non accadono più spesso? Le persone, i ragazzi, sono a casa ad annoiarsi, perché non diamo costantemente loro un motivo per uscirvi? A mio parere  una manifestazione come questa non dovrebbe avere il carattere di una tantum, di eccezione alla ben ormai nota regola della monotonia, ma dovrebbe coinvolgere costantemente più persone, più luoghi, e dovrebbe essere pubblicizzata in maniera adeguata, come per esempio l'impegno e il lavoro di questi artisti meriterebbero (o avrebbero meritato). I giovani non escono perché non c'è niente da fare e ci lamentiamo per questo? Bene, diamo loro delle opportunità concrete di svago, divertimento e andiamo a tirarli fuori dalle loro tane. 

martedì 8 gennaio 2013

Do you love me? (the king)



Videoclip musicale
riprese (GoPro HD Hero2) di Pietro Mascarin
musica di Fabio Ambrosino
montaggio di Matteo Mascarin

sabato 5 gennaio 2013

Revolutionary road


Di Sam Mendes, 2008, tratto dal romanzo di Richard Yates.
I Wheeler sono una coppia per bene dell'America per bene degli anni '50. Due figli, un lavoro decente lui, casalinga lei. Possiedono una bellissima casa in Revolutionary road, e si ostinano a credere che anche la loro vita e la loro storia sia revolutionary, o per lo meno speciale, come tutti i loro vicini e conoscenti continuano a far loro presente. La realtà però, è ben diversa, e i due coniugi tentano di migliorare la loro esistenza decidendo di stabilirsi a Parigi, per cambiare aria. Questa decisione, invece di essere un nuovo inizio, è il capolinea di una storia d'amore carica di incomprensioni, compromessi, ricatti, sacrifici mal e mai sopportati. La cinecamera indugia con apparente oggettività all'interno delle mura domestiche, lasciando trasparire qualcosa di sottilmente marcio, decisamente decadente. Essa ci sbatte in faccia una crisi di coppia che è la crisi di un'intera società, che mette in primo piano l'apparenza lasciando sullo sfondo le paure, i sogni e le speranze dell'individuo, costretto a lasciarle sopire in silenzio. La prova dei due protagonisti (Kate Winslett e Leonardo Di Caprio) è magistrale, riuscendo a restituirci un'angoscia infinita. 

"Knowing what you've got, knowing what you need, knowing what you can do without-that's inventory control."