Martedì
7 febbraio: La Natura
Mi
svegliai in un bagno di sudore e lucidità. I soliti cinque minuti in
cui giornalmente il preconscio ricostruisce le mura della società,
mi erano sembrati anni. Il seminario era stato, come da pronostico,
una rottura di palle. Una scialuppa di professoroni avevano remato
orizzontali in direzione contraria dei seminaristi, dall'alto delle
loro incomprensibili definizioni frutto di anni di ricerca, si
stagliavano inarrivabili sullo sfondo del power point. Attorno a me
sedevano altre due o tre dozzine di meritevoli e altri due o tre
quintali di meriti scolastici impacchettati in valutazioni semplici e
senza cuore. Dire un valore per dare un valore. Non capivo. Parlare
dell'altro stando seduti dall'altro lato dell'altro. Non capivo
proprio. Mi ricordo che per tutta la durata della lezione avevo la
voglia di alzarmi per andare a tirare giù quei vecchiacci da quel
palchetto, tirare i loro vestiti eleganti fino a strapparli, far
sentire loro il freddo del pavimento sulla pelle nuda e glabra di
vecchiaia. Il pensiero di ritornarci oggi mi infastidiva. Decisi che,
comunque, questa cosa andava fatta e avvolto di fierezza pensai al
mio rispetto per le regole, all'importanza delle regole e
all'evoluzione dell'uomo. Bevvi un caffè.
Quando
scesi in strada mi ritornò forte in mente il ricordo del ragazzo nel
parco. Provai la strana sensazione che si ha nel dare ad un ricordo
allo stesso tempo poca e molta importanza, come se due persone
all'interno della mia persona stessero litigando sul valore di
quell'esperienza. Grande esperienza, ma quale esperienza.
Nell'alternanza di interessi decisi comunque di passare nuovamente di
là, come il giorno prima mi ero ripromesso.
Arrivato
nel punto dove l'avevo intravisto, mentre mi distraevo cercando di
camminare tenendo i piedi su un'ipotetica linea retta che mi
conduceva, sentì un suono stranissimo. Difficile da spiegare. Era
qualcosa che assomigliava ad un ponte che partiva da Madre Natura per
arrivare all'uomo, l'anello mancante tra Dio e il Cristo in forma di
canto, di grida dolci e strazianti. Mi ricordo che pensai che quello
doveva essere il suono della voce che l'uomo avrebbe avuto se non si
fosse inventato il linguaggio, il suono che un ipotetico superuomo
avrebbe dovuto imitare nei suoi richiami per uomini, per ingannarci
in trappole di caccia sportiva. Era il ragazzo del giorno prima,
disteso su un prato, vestito nella semplicità di un lenzuolo bianco,
un po' asceta o un po' vestito di carnevale, comunque fantasma.
Faceva :
“aaaaaaaaaaaaaeeeeeeeeeooooooouuuuwww...wuuuuoooooooaaaaaaaaaaaa”
Dimentico
degl'insegnamenti di Pirandello, decisi che non avevo tempo per certe
stronzate. Feci per allontanarmi mentre pensavo, di nuovo,
all'ingiustizia che quel poveretto subiva dalla stessa natura che
sembrava cantare in quello strazio di corde vocali .All'improvviso
però mi ricordai alcune parole che gli avevo sentito dire il giorno
prima : “orecchiette in cima di rap”. Pensai e ripensai. Perchè
quelle parole avevano lasciato una traccia, un ultimo colpo di
picconte sull'orlo del mio oblio?Perchè? Mi fermai. In testa
ripassavo, sorprendendomi allo stesso tempo dell'efficacia di quelle
parole, la cantilenia del giorno prima, il susseguirsi di parole
inutili e casuali che avevo prima sentito e poi richiesto in risposta
alle mie domande. Mi sembrava di essere vicino alla soluzione di un
enigma, l'insight, la ricomposizione degl'elementi del campo, la
somma delle parti diversa dal tutto. Ebbi un flash : “orecchiette
in cima di rap”, l'aveva detto due volte!Mentre blaterava e
rispondendo ad una delle mie domande. Una regolarità, pensai. Se c'è
una regolarità può essere che questa faccia parte di una rete di
simboli, parole per altre parole, sostituzioni, sublimazioni, la
traduzione in un'altra lingua. La sua. Mi voltai e vedendolo, sentii
il cuore bussarmi sulla trachea. Mi guardava.Mi guardava e il suo
sguardo era di speranza, come se in quel battito d'ali in cui le
traiettorie dei nostri occhi si erano incontrate mi stesse dicendo
che io avevo le chiavi per aprire la diga della sua conoscenza.
Speranza, pura e semplice speranza. Per un secondo, forse meno. Si
voltò e ritornò al suo blaterare disinteressato, noncurante della
mia figura che, paralizzata nel centro del parco, faceva ombra sul
suo cantare una musica senza musica. L'eco dell'uomo in gabbia. La
gabbia dell'ignoranza, pensai. Non so perchè.
Decisi
di andare ancora una volta ad ascoltarlo. Parlava con tono sognante,
come se stesse recitando poesie all'amore della sua vita, diceva:
“siamo
nati nella natura siamo noti e notti nitidi nidi di colori e colori
con l'oro e l'argento getto occhi su piccole libertà libere nel loro
gracchiare lo sconcerto di un concerto live vive nel vivido estasi in
stati d'ammirazione in quel suono che viene da Dio domando e rimando
al mandante quesiti questioni questi ioni in celle di atomi atomici
verde, verde! Giallo?? giallo arancione rosso viola azzurro blu nero
bianco tutto da tatto e resta come un tatoo....tu!!! cosa temo??
tempo di tampax assorbiamo o sorbiamo il flusso di violenza noi
contro tutto!! tutto!!! sono tossico del sonno di queste tossine
allegro mi godo allergia dell'universo in un unico verso - fece un
gesto come per recitare – ho perso il controllo, e dopo tutto
non avrò che pioggia, che cade con me"
Rimasi
di stucco. Quelle ultime parole a compimento dell'ennesima follia
toglievano ogni dubbio: nessuna connessione era saltata in un quell'
ammasso di sostanza grigia e bianca, s'erano solo spostate su un
altro piano cognitivo. La loro presenza, stabile e quadrata, era
palpabile in quelle parole. La logica della realtà umana all'interno
dell'universo che prende forma grazie alla sua più particolare
peculiarità: un messaggio. Mi stava insegnando qualcosa, e lo faceva
dalla mia stessa altezza, entrambi con i piedi su un'ipotetica
panchina, lontanto da qualsiasi cazzo di palchetto e senza bisogni di
slides per tenere il filo. Mi guardai attorno. Il colore del mondo mi
sembrava più vivo, allucinazione sana di sensazioni amplificate
.L'ossigeno unico elemento psicoattivo e il petto in fiamme. Il
numero di percezioni che riuscivo ad elaborare mi stupiva. Sentivo
scomparire le cosidette "questioni esistenziali" sulla scia
di uno sfondo rivoluzionato, dono ultimo di qualche Dio onnipotente
che volevo ringraziare. Lo feci. Dissi a bassa voce "Grazie"
con il mento appoggiato sul petto in un gesto di vergogna che veniva
dal terzo millennio. Ero uomo - animale, tessera di un mosaico più
ampio di quanto mi fosse permesso immaginare, figlio di una madre
benevola e giusta, coerente e spietata. Questa volta Pirandello mi
tornò in mente senza bisogno di sfogliare la sua opera :
"nella
sua santità, difatti, ella riteneva che quei fiori di campo non
nascono per gli uomini, ma sono come il riso della terra che esprime
gratitudine al sole per il calore ch'esso le dà."
"Incredibilmente
calzante", pensai. Distratto lanciai lontano gli auricolari del
mio lettore mp3 mentre riprendevo il passo. Feci il gesto, utile
quanto l'alba a compimento di una notte d'amore, di mettere delle
cuffiette inesistenti e scaricai dall'internet della vita la melodia
della natura. Sorrisi.
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