Stazione semifantasma di provincia. Sottopasso che porta ai
binari, lugubre. Mi guardo attorno, con
me aspettano il treno le solite persone incluse nel pacchetto
stazionediprovincia: una donna malvestita che consuma una di quelle sigarette
infumabili, un immigrato trasandato e parecchio sporco, uno studente
alternativo con la barba che sembra abbia quarant’anni. Il treno chissà quando
passa, leggo un po’: La cittaduzza di
Verrières può passare per una delle più graziose della Franca Contea. Le sue
case bianche con i tetti a punta, di tegole rosse, si stendono… DIN DON:
IL TRENO REGIONALE 5843 DELLE ORE 7.26 E’ IN ARRIVO AL BINARIO 2, ALLONTANARSI
DALLA LINEA GIALLA. Salgo sul treno, come sempre è sporco e stracolmo di
gente. Anche oggi dovrò lottare per accaparrarmi un posto decente. Mentre faccio
ricognizione con lo sguardo per qualche posto appetibile, una signora
dall’accento slavo mi chiede se voglio sedermi accanto a lei. Che culo! Mi siedo
e con sguardo di trionfo mi pavoneggio di fronte agli ebeti rimasti in piedi.
La donna credo abbia circa quarant’anni, è vestita veramente malissimo ed ha
una sciarpa odorcasadimianonna che continua a piegare e ripiegare
continuamente. Ha i capelli crespi e sporchi che stonano con il blu intenso dei
suoi occhi. Occhimare la soprannomino. Come il mare fuori dal finestrino che
scorre a velocità treno sulla mia sinistra. Il vento lo increspa leggermente e
sembra possibile poter sentire l’odore di sale e la brezza che sferza
teneramente le gote. Il posto accanto al mio è riservato allo zaino di
Occhimare. Uno zaino anni novanta rosso stracolmo di roba. Chissà cosa
contiene. D’un tratto estrae dalla tasca della giacca un telefonino molto
all’avanguardia che stona decisamente con la sua figura. Compone un numero e
chiude gli occhi quasi come a pregare che dall’altra parte qualcuno risponda.
Ripete questo gesto più e più volte, poi desiste e caccia i suoi bellissimi
occhi nei miei. Si è accorta che la stavo guardando. Riprendo il libro in mano:
sul declivio di una collina, sulla quale
boschi di vigorosi castagni segnano
le minime sinuosità. Il Doubs scorre qualche centimetro… la mia lettura viene interrotta da un signore
con un forte accento meridionale, non so perché ma mi ricorda Camillo Benso, il
Conte di Cavour. Si lamenta a voce alta
della stato attuale dei treni, e di conseguenza dell’Italia intera, io sorrido
e, mentre sto riprendendo la lettura noto che Occhimare sta piangendo mentre
parla al telefono. Grosse lacrime sgorgano dagli occhi color mare e mi
intenerisco guardandola. Senza rendermene conto la fisso ancor più
vigorosamente di prima. DIN DON: SIAMO IN
ARRIVO AL CAPOLINEA … Occhimare se ne accorge, chiude la conversazione con
uno scatto brusco e pianta per la seconda volta i suoi occhi nei miei. È un
attimo. BOOM! Ho solo il tempo di rendermi conto che lo zaino anni novanta
rosso che mi stava accanto era pieno zeppo di una quantità di esplosivo
necessaria a far saltare in aria 500 bufali e 800 palazzi. E poi un gran
casino, io, Occhimare, Cavour, il treno, la stazione, questa maledetta città,
tutti insieme nel vortice di quel blu immenso, tutti a vorticare per l’eternità
tra corpi amalgamati dal tritolo, irriconoscibili dopo lo scoppio.